LA COXARTROSI (dott. D. Gullotta)

19.11.2013 17:34

COXARTROSI

 

La coxartrosi, -localizzazione all’anca del processo artrosico-, rappresenta circa il 90% delle coxopatie in quanto l’anca costituisce una delle sedi di elezione di questo processo degenerativo. Infatti ha una percentuale di incidenza tale da presentare pesanti risvolti di ordine socio economico, sia per quanto riguarda le ore di lavoro perse che per quanto riguarda le spese per il trattamento medico, fisiokinesiterapico e chirurgico.

Bisogna ricordare come, a livello dell’anca e di tutte le altre articolazioni, il termine di “osteoartrosi” abbia sostituito quello di “artrosi”, che si usava nel passato. Contrariamente a quello che si credeva molti anni or sono, nella patogenesi dell’osteoartrosi non si manifesta soltanto il danno della cartilagine articolare, ma anche un’alterazione dell’osso subcondrale, quello che in realtà è limitrofo all’articolazione. Infatti il coinvolgimento dell’osteoblasta insieme al condrocita, in questa parte dell’osso, nella patogenesi dell’osteoartrosi è la regola.

La coxartrosi primariamente deriva da una sproporzione tra l’incidenza delle sollecitazioni meccaniche e la resistenza allo sforzo degli elementi costitutivi l’articolazione stessa; ed è proprio la cartilagine di rivestimento articolare la struttura coinvolta all’inizio e in maniera più rilevante dal processo osteoartrosico, essa si riduce fino ad esporre le sottostanti fibre collagene e l'osso subcondrale. Questa evoluzione provoca la sclerosi dell'osso sottostante e lo sviluppo di geodi, intesi come cavità ossee, espressione di aree necrotiche dell'osso per l’applicazione del carico dovuto alla stazione eretta e alla deambulazione; ne conseguono poi microfratture trabecolari che comportano l’origine delle suddette cavità cistiche.

Si verifica in seguito lo sviluppo di osteofiti che costituiscono lo stratagemma, da parte dell'osso sottostante, di rimediare alla distruzione cartilaginea e di migliorare la distribuzione dei carichi aumentando la superficie articolare.

   Più della metà dei casi è secondaria ad una malformazione dell’anca. La sindrome appare distribuita con una prevalenza nel sesso femminile per condizioni anatomiche e per cause ormonali.

Statisticamente riguarda, prevalentemente,  individui con abitudini di vita sedentarie e con apporti alimentari squilibrati; proprio a costoro si rivolge il doveroso tentativo di profilassi, dettato da corrette norme dietetiche e da una sana educazione al movimento. Nella patogenesi della coxartrosi è importante ricordare che il centro dell’articolazione coxo-femorale costituisce il fulcro di una bilancia coxo-iliaca, che, già in condizioni fisiologiche, rappresenta il punto d’incontro di uno sproporzionato sistema di leve. La scomposizione delle forze gravitarie, infatti, rappresentata dal vettore ponderale, si identifica nel braccio lungo, mentre il controllo muscolare degli adduttori dell’anca, nel versante opposto, ne è il braccio corto. La bilancia articolare nell’appoggio monopodalico è in equilibrio se i muscoli abduttori sviluppano una forza pari a tre volte il peso del corpo.

Un qualsiasi momento patologico che vada a gravare ulteriormente su un tale precario equilibrio, o per deficit muscolari (ipovalidità o alterazioni nelle inserzioni tendinee) o incidendo sul vettore prioritario (obesità), modifica la normale scomposizione delle forze pressorie.  Queste vengono, così, a distribuirsi su aree molto più ristrette, determinando una maggior confricazione delle superfici articolari e l’iniziale usura delle stesse, che rappresenta la prima fase del processo coxartrosico.

 

Classificazione

1) Deficit tessutali della cartilagine articolare

a) Coxartrosi primaria

b) Coxartrosi secondaria

  • Coxite: associata a malattie reumatiche (artrite    reumatoide, artrite psoriasica,
  • condropatia metabolica

2) Viziature direzionali meccaniche

  • Per disarmonie anatomiche

- displasia dell’anca congenite o acquisite

- coxa vara, valga,  plana...

  • Per iperpressioni funzionali

- d’origine statica controlaterale

- dismetrie

- artrodesi d’anca o di ginocchio

- d’origine dinamica

  • post traumatica:

esiti di fratture di cotile, esiti fratture estremo-prossimale del femore, flogistica: associata a malattie reumatiche (artrite reumatoide, artrite psoriasica, ecc.)

- da sovrappeso

 

SINTOMATOLOGIA

Premessa la possibilità che coxartrosi radiologicamente accertate risultino del tutto indolori e solo tardivamente dolorose (Layout e Gaucher), ricordiamo il carattere frequentemente eterotipico del dolore coxartrosico, estrinsecantesi, preferibilmente, secondo le caratteristiche del dolore di proiezione.

Tante volte il paziente non si accorge dell'infiammazione cronica all'anca, perchè sovente solo sintomi remoti derivano dall'articolazione. Di frequente accusa invece dolore all’inguine, alla parte anteriore della coscia e spesso al ginocchio e non all'anca dove il processo patologico è in corso. Si parla infatti di un dolore riferito o fantomatico. A proposito del dolore al ginocchio, bisogna ricordare che spesso la fisioterapia applicata erroneamente al ginocchio invece che all'anca, senza aver posto una corretta diagnosi, non dà alcun beneficio e per contro il paziente continua a lamentare gli stessi sintomi.

 

La sintomatologia completa è caratterizzata dolore associato all’impotenza funzionale, con limitazione dei movimenti, e, più raramente, alla presenza di scrosci, blocchi e “scatti” articolari.

Comunque, nell’evoluzione della malattia, possiamo distinguere essenzialmente tre stadi: uno iniziale, uno avanzato e uno terminale in cui possiamo ritrovare i sintomi sopra riportati con differente evoluzione, andando da una blanda sintomatologia nella fase iniziale ad una forma ben più grave nelle fasi più avanzate del processo morboso.

 

 I) Stadio iniziale

La malattia si sviluppa all’inizio in modo silente e caratteristicamente subdolo; il paziente avverte aumento del senso di stanchezza, manifesta successivamente, andatura zoppicante, che sfocia in un irrigidimento dell’articolazione e nel dolore.

A proposito di dolore, questo è di tipo nevralgico a livello della radice della coscia compare durante la deambulazione e al passaggio dalla stazione seduta a quella eretta.

In seguito uno dei primi sintomi può essere l’insorgenza del dolore quando il paziente è seduto in poltrona, prima ancora che si alzi in piedi, oppure dopo lunghi tragitti in automobile.

Il dolore il più delle volte, appunto, viene riferito alla coscia e al ginocchio, meno frequentemente in sede posteriore, a cominciare dalla piega glutea o dalla natica. Il dolore che richiama più da vicino la diagnosi di sede è quello alla piega inguinale.

Bisogna ricordare infine la localizzazione in corrispondenza del grande trocantere e/o della faccia esterna della coscia.

A proposito del dolore al ginocchio, frequente causa di errori diagnostici, si segnala che qualsiasi gonalgia, senza riferimento clinico e radiologico, deve far pensare ad un affezione dell’anca (Ballabio). Il dolore solo eccezionalmente supera il ginocchio, arrivando, al massimo, alla faccia anteriore della tibia.

Di regola, la sintomatologia dolorosa ha un ritmo tipico in quanto, nella maggioranza dei casi, si presenta dopo la marcia e dopo uno sforzo più o meno prolungato, e cessa o si attenua con il riposo.

Egualmente tipica è la presenza del dolore alla ripresa del movimento, dopo la fase di riposo; come regola questo dolore è, nella forma artrosica, meno duraturo di quello connesso alle forme infiammatorie, tanto che, dopo pochi movimenti, esso si attenua permettendo la deambulazione.

All’inizio questi sintomi sono intermittenti, poi si ripetono con frequenza sempre crescente e con maggior intensità fino a divenire persistenti.

Il paziente può avvertire un affaticamento precoce dei muscoli glutei durante la marcia e può avere la difficoltà nell’esecuzione di alcuni movimenti abituali, quali salire e scendere le scale, infilarsi le calze, tagliarsi le unghie dei piedi, indossare i pantaloni, etc.

Lo zoppicamento può precedere i primi dolori all’anca, può essere permanente ovvero può comparire dopo un determinato perimetro di marcia.

La coxartrosi iniziale è caratterizzata soprattutto dalla limitazione dell’intrarotazione.

Quindi si assisterà alla limitazione dell'estensione, abduzione, adduzione e infine la flessione.

 

II) Stadio avanzato

Il dolore non è mai molto intenso, ma persistente; l’atrofia muscolare soprattutto dei glutei e del quadricipite femorale, con aspetto appiattito della natica e della coscia, limita ulteriormente la deambulazione. Si hanno blocchi transitori e scrosci articolari.

Nelle forme avanzate, all’ispezione è rilevabile un atteggiamento viziato in  adduzione, flessione e rotazione esterna, meno frequentemente in rotazione interna; alla postura accennata si associa iperlordosi, con bacino inclinato lateralmente e proiettato in avanti. Facile è il riscontro di una deviazione scoliotica a livello del rachide dorsale per atteggiamento di compenso o per concomitante lombartrosi.

All’obiettività è di fondamentale importanza il rilievo di un accorciamento dell’arto inferiore colpito, che deve essere, necessariamente, identificato nelle sue caratteristiche e deve essere precisamente documentato specie in previsione di un possibile intervento di artroprotesi..

L’esame della deambulazione metterà in evidenza una chiara la zoppia, a tipo di caduta nelle forme sublussanti, di fuga nelle forme particolarmente dolorose.

La zoppìa influenza negativamente gli altri movimenti nella catena delle articolazioni sovrastanti: l'articolazione sacroiliaca omolaterale viene sforzata (con conseguente ipermobilità) e con essa le articolazioni vertebrali della colonna lombare (con reazioni infiammatorie ed artrosi). Spesso si associa una lombalgia con irritazioni talora cruralgiche che accentuano il dolore all’inguine spesso dovuto alla coxalgia.

In questa fase la limitazione della rotazione interna dell’anca sarà più importante, a tal punto che il paziente riferisce:

  • prima di avere difficoltà ad infilarsi i calzini nei piedi;
  • poi di non essere più in grado di tagliarsi le unghie dei piedi.

 

Autonomia nella deambulazione, capacità di inflilarsi autonomamente le calze e tagliarsi le unghie dei piedi insieme con la difficoltà nel salire le scale sono valutazioni di grande interesse che permettono di stabilire oggettivamente il grado di deficit funzionale e quindi avviare la scelta terapeutica.

 

III) Stadio terminale.

Proseguendo la lenta evoluzione della malattia, aumenta la rigidità articolare ed il deficit muscolare, che già erano stati ben evidenziati nella fase precedente, tanto da far assumere al paziente delle posture scorrette.

Il dolore si aggrava e diviene persistente e nelle ultime fasi può essere così violento e continuo da disturbare il sonno.

La rigidità e l’impotenza funzionale possono essere di grado tale da permettere una deambulazione solo di pochi metri, con l’aiuto di stampelle.

Nello stadio terminale della malattia si evidenzia una costrizione a letto.

 

DECORSO E PROGNOSI

La coxartrosi ha un’evoluzione lenta e inesorabile verso il progressivo aggravamento. La sua evoluzione varia da soggetto a soggetto, comunque rimane sempre grave in ogni caso, rendendo necessario l’uso di un bastone per la deambulazione

La prognosi riguarda primariamente l’articolarità e secondariamente la funzionalità e le condizioni generali.

L’affezione è irreversibile e progressiva, pregiudica in maniera sempre crescente le attività della vita quotidiana. Oltre alle evidenti limitazioni della dinamica articolare e la rigidità conseguente, bisogna ricordare come il dolore pregiudichi la deambulazione con la caratteristica zoppia di fuga e come, nelle fasi terminali, non dia tregua al paziente.  Si mantiene infatti lancinante anche a letto, senza caricare sull’anca, pregiudicando, assillante, il sonno del paziente.

 

RADIOLOGIA

 

Lo studio radiologico della coxartrosi permette di individuare con immagini ben precise gli stadi evolutivi del processo degenerativo. Permette al chirurgo di impostare un corretto trattamento chirurgico conservativo o sostitutivo con artroprotesi d’anca. I sintomi radiografici si possono riassumere in:

  • Diminuzione dell’interlinea subcondrale;
  • Addensamento dell’osso subcondrale (sclerosi);
  • Presenza di aree geodiche;
  • Osteofiti marginali.
  • Compromissione della forma delle superfici articolari e della loro congruenza.

 

TERAPIA

 

Gli apporti terapeutici nella coxartrosi si avvalgono di terapia medica, fisiokinesiterapica e chirurgica che possono variamente essere associate fra di loro in relazione al caso da trattare ed allo stadio della malattia.

A prescindere dall’intervento profilattico che mira a conservare il più a lungo possibile la funzionalità della leva coxo-femorale (bonifica alimentare e delle abitudini di vita sedentarie), l’articolarità dell’anca verrà agevolata dalla ginnastica in scarico dell’articolazione in particolar modo mediante cyclette. La terapia ha lo scopo di lenire il dolore nelle eventuali riacutizzazioni del fatto cronico, aumentare la funzionalità articolare eventualmente compromessa con trattamenti kinesiterapici ed infine arrivare all’intervento chirurgico che mira alla ricostruzione articolare.

 

TERAPIA FARMACOLOGICA

 

Per quanto riguarda gli apporti farmacologici ci piace destinarli esclusivamente a sedare il dolore nella fase acuta. I semplici analgesici che hanno costituito il rimedio tradizionale e più semplice per il trattamento sintomatico dell’osteoartrosi, rimangono tuttora appropriati in molti casi. Alcuni pazienti con artrosi hanno una sintomatologia soltanto intermittente, ad esempio soltanto dopo uno sforzo inconsueto. In questi casi i semplici analgesici, somministrati in caso di necessità, costituiscono un trattamento ideale.

Agli analgesici semplici è possibile sostituire dei farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS) di cui studi recenti hanno dimostrato una maggior efficacia. Entrambe queste classi di farmaci determinano sollievo dal dolore, ma i FANS fanno molto di più. Essi riducono anche la durata della rigidità mattutina, la durata della rigidità dopo assunzione della stazione seduta, nonchè la tumefazione e la dolorabilità articolare.

Oltre alla terapia farmacologica classica per via generale, è possibile in pazienti ben selezionati, con grave sintomatologia algica, intraprendere un trattamento per via locale mediante infiltrazioni endoarticolari, con farmaci quali il cortisone ritardo. Le infiltrazioni con cortisonici vanno attuate in pazienti ben selezionati, in cui vi sia una quota infiammatoria importante, e non devono essere utilizzate di routine. Il loro uso prolungato, infatti, è assolutamente da proscrivere per l’effetto dannoso che il cortisonico ha sul metabolismo osseo.

Di recente introduzione è l’uso di farmaci -come ad es. l’acido ialuronico sempre per via intra-articolare-, che avrebbero la funzione di reintegratori dei mucopolisaccaridi costituenti  la sostanza fondamentale della cartilagine articolare.

Il trattamento conservativo, oltre all’uso della terapia medica, si basa, come già è stato accennato, sulla diminuzione del peso corporeo. In secondo luogo bisogna invitare i pazienti a non mantenere a lungo la stazione eretta nè a camminare esageratamente. Si potrà consigliare a questi pazienti di deambulare con l’ausilio di un bastone, da portare nella parte opposta a quella della lesione, per scaricare in parte l’anca malata.

Ciò che però è più importante è la ginnastica attiva e passiva, di queste articolazioni, che il paziente potrà attuare anche a casa. E’ molto importante perciò mantenere un’articolarità pressoché nella norma.

La prevenzione consiste nella ginnastica regolare delle anche nel senso di uno stretching tipo Yoga, nel nuoto a rana, nell’uso quotidiano di cyclette, nel controllo diagnostico e nella cura in caso di dolori all'anca, al ginocchio, al bacino e alla schiena.

 

KINESITERAPIA

 

I supporti kinesiterapici vanno utilizzati durante gli intervalli silenti, essendo controindicati nella fase acuta: hanno come scopo indirizzi antalgici, di recupero articolare ed il ripristino di schemi motori corretti in pazienti che, solitamente, sono atteggiati e deambulano in posizioni viziate mediate da contratture antalgiche.

Ci si avvale quindi di manovre di deambulazione assistita e di correzione della stessa con l’aiuto di specchi diagrammati, che, oltre a rendere cosciente il paziente del proprio deficit, lo stimolano ad un riequilibrio generale.

Manovre di kinesiterapia attiva ed esercizi di ginnastica segmentaria saranno utili per il ripristino della funzione articolare sicuramente compromessa.

 Inoltre si potrà trarre giovamento dalla rieducazione funzionale con esercizi di rinforzo muscolare per i glutei ed il quadricipite femorale allo scopo di impedire l'ipotrofia muscolare che necessariamente consegue all'ipomobilità delle anche.


Cyclette

Oltre alla rieducazione funzionale troverà valido effetto la ginnastica attiva delle anche mediante cyclette che permetterà i movimenti in scarico delle coxo-femorali. L’attività fisica mediante cyclette ha indiscutibile valore nella fase preventiva, per mantenere il più a lungo possibile l’articolarità dell’anca e altresì di ginocchio e caviglia, ma risulta indispensabile una volta che il processo coxartrosico si è avviato per rallentarne l’evoluzione.

 

 

TERAPIA FISICA

 

Gli apporti fisioterapici, poi, saranno via via utilizzati per risolvere situazioni differenti, che, di volta in volta, i pazienti potranno presentare: così la massoterapia e la termoterapia endogena (radarterapia, raggi infrarossi, marconiterapia) saranno utili per detendere i gruppi muscolari in contrattura antalgica; le vibrazioni ultrasonore e l’elettronalgesia fra cui si annoverano le correnti diadinamiche e la T.E.N.S.e le correnti interferenziali si riveleranno utili nell’analgesia localizzata.

L'effetto analgesico sarebbe dovuto, almeno in parte, ad una soppressione del segnale doloroso andando ad agire direttamente sulle fibre che portano quest'informazione al sistema nervoso centrale (SNC) e sugli scambi di tipo ionico che avvengono nelle interfacce biologiche. I principi dell'applicazione della corrente elettrica nella terapia del dolore si basano sulla teoria del "gate control" di Melzack e Wall, che rende possibili due tipi d'intervento per il controllo del dolore: il primo consiste nel rinforzare il potere inibitore delle grosse fibre, mentre il secondo si pone l'obiettivo di interrompere selettivamente la comunicazione delle fibre di piccolo calibro, in prossimità delle corna discali posteriori (ove avviene la connessione delle terminazioni periferiche con le principali vie neurali di comunicazione al cervello). L'elettroanalgesia nelle forme croniche non sostituisce la terapia farmacologica ma la integra efficacemente anche se in quei casi in cui vi sia un'ipersensibilità ai farmaci la terapia elettroantalgica è l'unico rimedio al dolore.
 

Di recente introduzione, nell’ambito delle terapie fisiche, sono l’ipertermia e la magnetoterapia, queste offrono particolari azioni terapeutiche atte ad attenuare la riacutizzazione della flogosi ed altresì del dolore che si accompagna all’infiammazione; migliorano altresì il metabolismo cellulare, favorendo l’azione biorgenerante.

 

Ipertermia

L'IPERTERMIA è una terapia fisica innovativa che consiste nell’imporre ad una determinata parte del corpo un ciclo termico accurato e specifico per quella parte e per il tipo di patologia.

Le risposte fisiologiche alla somministrazione del calore, accettate come base per le applicazioni terapeutiche, sono le seguenti
- Aumento dell’estensibilità del tessuto collageno
- Riduzione della rigidità articolare
- Sollievo dal dolore
- Riduzione dello spasmo muscolare
- Aumento del flusso sanguigno
- Riduzione degli infiltrati infiammatori, degli edemi e degli essudati
L’effetto biologico più evidente può essere riassunto in un aumento del metabolismo, seguito da reazioni cellulari di difesa

In generale:
·La vasodilatazione facilita la rimozione degli agenti dell'infiammazione e l’apporto dei mediatori riparativi.
·Un moderato effetto di "cell killing " stimola la rigenerazione di nuovi tessuti

1. Riduzione della flogosi/sintomo
2. Recupero del movimento
3. Recupero della forza/resistenza muscolare
4. Recupero della coordinazione
5. Recupero del gesto funzionale

 

Magnetoterapia

Solo di recente l’uso della magnetoterapia. Si tratta di onde elettromagnetiche pulsate, che penetrano bene in tutti i tessuti per arrivare fino all'articolazione dell'anca. Possono guarire le infiammazioni con le loro proprietà antiflogistiche.

Agendo sui radicali liberi, sugli oligoelementi e sulle sostanze ferromagnetiche dell’ambiente intracellulare risulta essere di importanza fondamentale per l’equilibrio omeostatico della cellula; così come una eventuale esposizione ad un campo alterato può comportare ripercussioni di incalcolabile entità per la cellula stessa. E’ pertanto in grado di influenzare i vari processi che regolano le funzioni vitali della membrana cellulare che controllano ciò che viene introdotto nella cellula e che producono sostanze adatte a combattere tutto ciò che non sia compatibile.

La magnetoterapia promuove di conseguenza un’accelerazione di tutti i fenomeni riparatori con netta azione biorigenerante, antinfiammatoria, atiedematosa, antalgica senza effetti collaterali. Ricordiamo che lo scopo della magnetoterapia è quello di ricaricare e rigenerare le cellule prive di forza vitale e di sedare la sintomatologia algica.

Dopo qualche applicazione, il dolore si attenua ed il paziente potrà pertanto cominciare la riabilitazione passiva ed attiva dei movimenti dell'anca, che prima erano impossibili ad eseguire a causa del dolore e per gli spasmi muscolo-legamentosi di riflesso.

Risulta essere anche l’unica terapia fisica effettuabile senza controindicazioni nei portatori di artroprotesi d’anca, una volta che il processo degenerativo sia evoluto al punto tale da richiedere l’intervento chirurgico sostitutivo.

 

L’elettroterapia eccitomotoria troverà valida utilizzazione negli stati di ipotonia muscolare. 

Infatti nelle fasi più avanzate si ha ipotrofia muscolare dei glutei e del quadricipite.

La fisiokinesiterapia, infine, risulta indispensabile come corollario alla terapia chirurgica, condizionando notevolmente il risultato finale.

Ricordiamo come il trattamento kinesiterapico sia indispensabile alla rieducazione nella deambulazione dopo l’intervento chirurgico.

Le terapie medica e FKT si possono prolungare fino a quando questa patologia degenerativa non abbia superato la fase iniziale. L’aggravamento coincide con la persistenza del dolore, con la limitazione della deambulazione, con l’affaticamento nella stazione eretta; il paziente diviene strettamente dipendente dall’ausilio di un bastone; è allora che si fa doveroso propendere per una terapia chirurgica conservativa o sostitutiva.

 

TERAPIA CHIRURGICA

 

La terapia chirurgica conservativa prevede due tecniche: una consiste nel riaggiustamento dell’angolo d’inclinazione tra asse diafisario e asse del collo e quindi può essere di varizzazione o di valgizzazione; utilizza placche metalliche e viti di fissaggio.

La seconda, detta osteotomia di bacino o di Chiari, è una tettoplastica, nel senso che mira alla ricostruzione di un tetto sfuggente in un cotile displasico con l’osteotomia a livello dell’osso iliaco.

Oltre agli interventi di osteotomia, che abbiamo menzionato sopra, la terapia conservativa prevede l’intervento di artrodiatasi. Questa riguarda i pazienti che obiettivamente presentano una marcata rigidità articolare, sì da non essere passibili di intervento di osteotomia.

Consiste nella distrazione dei capi articolari e viene realizzata tramite un fissatore esterno articolato (FEA). Il concetto che sta alla base dell’artrodiatasi è quello di mantenere detesa, e nel contempo mobilizzata, l’articolazione; ciò ha lo scopo di ridurre le alterazioni degenerativo-flogistiche, di favorire i fenomeni rigenerativi della cartilagine articolare consentendo così il vivificarsi ed il riabitarsi dell’ambiente articolare.

 

La terapia chirurgica sostitutiva, invece, è passata da una fase sperimentale ad una fase ormai routinaria da parecchi anni e riguarda quei pazienti con una coxartrosi in fase terminale in cui l’apporto farmacologico e quello fisiokinesiterapico, variamente associati, risulterebbero insufficienti o inadatti.

La terapia chirurgica sostitutiva si avvale dell’impianto di mezzi protesici quali le artroprotesi o le endoprotesi d’anca.

L’impianto di una protesi consiste nella resezione delle componenti articolari ormai deformate e prive di cartilagine e nella sostituzione con rivestimenti artificiali composti da diverse leghe metalliche separate da materiale (plastico o ceramico) a basso coefficiente di attrito.

 

Endoprotesi d’anca

Mentre le endoprotesi d’anca mirano alla sostituzione della sola testa femorale impiantata nel femore mediante la presenza di uno stelo, le artroprotesi d’anca, chiamate anche protesi totali, sono costituite dalle due componenti: la cavità acetabolare e la testa femorale.

La scelta tra i diversi tipi di protesi viene effettuata in base a diversi fattori (qualità del tessuto osseo, tipo di patologia, grado di deformità articolare, età del paziente).
Lo scopo dell'intervento è quello di restituire un'articolazione non dolente, in buon asse, sufficientemente mobile per poter camminare e per assumere i più comuni atteggiamenti della vita quotidiana.

 

L'impianto di endoprotesi comporta comunque spesso processi degenerativi della superficie acetabolare rendendone necessaria la sostituzione dell’acetabolo con una componente cotiloidea.

 

Artroprotesi d’anca

Ecco perché è preferibile un trattamento chirurgico mediante l’impianto di artroprotesi d’anca che va riservato, come asserivamo, a pazienti con buone aspettative di vita nei quali sia evoluta una coxartrosi fino alla fase terminale, in cui siano assenti affezioni o malattie di altri organi o apparati che potrebbero limitare il successo di questa preziosa tecnica, nonchè il potenziale grado di recupero funzionale.

Non va tuttavia dimenticato che la protesi, al contrario dei tessuti dei nostro organismo, non ha alcun potere di mantenimento biologico e che quindi, una volta impiantata, è destinata ad una progressiva usura. Tale usura sarà tanto più lenta nel tempo quanto più l'articolazione sarà ben impiegata. E' quindi indispensabile avere dei riguardi per l'articolazione operata, seguire semplici regole di vita ed elementari precauzioni: occorre evitare traumatismi e sollecitazioni inutili, la corsa e le attività sportive impegnative, e tutte le attività lavorative fisicamente molto impegnative che sovraccarichino tale fondamentale articolazione portante.

E’ necessario precisare che la durata della protesi non è influenzata solo dal disegno, dai materiali di costruzione e dalla tecnica chirurgica, ma dipende anche dalle richieste funzionali del paziente e dalla sede in cui viene impiantata, cioè dall'osso che la circonda e a cui deve ancorarsi.

Le richieste funzionali del paziente, in particolar modo, dovranno essere ben valutate in quanto individui attivi e con considerevoli aspettative di vita metteranno a dura prova i componenti dell’impianto; per quanto questi siano costituiti da materiali particolarmente resistenti e sia stata adottata una corretta tecnica chirurgica.

Non esiste pertanto un apparato protesico valido per tutte le situazioni, ma la scelta tra i diversi modelli disponibili varia secondo le caratteristiche specifiche del singolo paziente, al fine di garantire un risultato duraturo. La sostituzione dei capi ossei avviene con rivestimenti artificiali composti da diverse leghe metalliche separate da materiale (plastico o ceramico) di buona resistenza ma con basso coefficiente di attrito.

Esistono ormai numerosi tipi di artroprotesi d’anca che, in generale, possiamo suddividere in: cementate e non cementate.

I materiali di cui si compongono sono costituiti dalla testa in ceramica e dallo stelo protesico in lega di titanio, la coppa acetabolare è costituita da polietilene. Nelle prime l’ancoraggio della protesi viene attuato dal cemento acrilico al momento della sua polimerizzazione; nelle seconde l’ancoraggio delle componenti protesiche è ottenuto mediante un semplice incastro che consentirà un successico ancoraggio "biologico" (protesi non cementate).

Tale ancoraggio della protesi all’osso avviene per quelle non cementate in due tempi: in un primo tempo al momento dell’impianto, mediante press-fit o avvitamento (stabilità primaria); in un secondo tempo, mediante la neoapposizione ossea nella superficie protesica appositamente forgiata (stabilità secondaria).

Sarà il chirurgo, al momento dell’impianto, che indirizzerà la scelta in base ai diversi fattori già ricordati, quali la qualità del tessuto osseo, il tipo di patologia  associata, il grado di deformità articolare, l’età del paziente. Lo scopo dell'intervento sarà quello di restituire un'articolazione non dolente, in buon asse, sufficientemente mobile per poter camminare e per assumere i più comuni atteggiamenti della vita quotidiana.


In definitiva potremmo ricordare i codificati criteri di scelta delle artroprotesi d’anca:

  • Artroprotesi cementate: in pazienti in età biologica superiore a 65 anni,  con osso poco consistente per presenza di porosi, permettono un recupero articolare in tempi brevi e la possibilità di carico più rapidamente.
  • Artroprotesi non cementate: in pazienti in età biologica inferiore ai 65 anni con osso in buone condizioni di trofismo, permettono un più facile reimpianto.

 

Uno dei problemi più importanti che affliggono questa metodica riguarda la mobilizzazione dell’impianto protesico.

Tra le cause di mobilizzazione asettica di un'artroprotesi, si indica come evento principale proprio la risposta biologica ai detriti che si formano per i noti meccanismi di usura all'interfaccia osso-impianto, ed in particolare a quelli di polietilene, assume una primaria importanza.

Fra componente protesica e osso si costituisce una membrana interposta nell’interfaccia osso-impianto formata da tessuto simil-sinoviale caratterizzato da una particolare disposizione dei detriti di polietilene e delle cellule istiocito-macrofagiche. All’esame istologico delle membrane rimosse infatti è stata riscontrata la presenza di un tessuto simil-sinoviale caratterizzato da una particolare disposizione dei detriti di polietilene e delle cellule istiocito-macrofagiche.

Si calcola che ogni anno nel mondo, vengano effettuati da 500 a 800 mila impianti di artroprotesi totali d'anca; tra tutte le complicanze quella più temibile, è sicuramente l'allentamento asettico.

Distinguiamo principalmente due tipi di allentamento:


1) mobilizzazione asettica per:

  • reattività tissutale locale;

da fenomeni di riassorbimento osseo dovuto alla formazione di tessuto fibroso all'intervaccia osso-cemento o metallo-osso nel caso di protesi non cementate.
 

  • fattori anatomici;

 Secondo alcuni autori, il progressivo allargamento del canale femorale che si manifesta con l'invecchiamento, porterebbe alla perdita del supporto meccanico dell'impianto (Comadoll, 1988).

  • caratteristiche dei materiali:

L'accoppiamento metallo-cemento, elementi dotati di due moduli di elasticità diversi, rappresenta un problema all'interfaccia metallo-cemento e cemento-osso con possibile frattura del cemento e fallimento meccanico dell'impianto.
Questo è il risultato dei micromovimenti che si realizzano tra osso (elastico) e impianto (rigido).
 

  • rottura dei vari componenti della protesi. :

 

 

  • 2) mobilizzazione settica dell'impianto.

Il problema della contaminazione batterica durante l'intervento di artroprotesi. è reale e tutt’altro che trascurabile, anche se la ridotta incidenza di questa complicanza si può attribuire, in parte, all'uso della profilassi antibiotica ed ai progressi nella sterilità delle sale operatorie.
Nella maggior parte dei casi la contaminazione batterica si verifica durante l'intervento, ma sono possibili anche le infezioni per via ematogena nel corso di una batteriemia.
La maggiore o minore suscettibilità all'infezione sembra legata a diversi fattori: tra i fattori legati all'ospite assumono un rilievo importante malattie generali quali l'artrite reumatoide, il diabete mellito, ematomi post-operatori, ritardi di guarigione della ferita chirurgica ed infezioni concomitanti in altri distretti dell'organismo; anche il tipo di metallo impiegato e soprattutto la finitura di superficie influenza il rischio di infezione.
La longevità di un impianto protesico, correttamente posizionato, è determinata da un gran numero di variabili:

- il disegno della protesi
- le caratteristiche chimiche, fisiche e meccaniche dei materiali
- il tipo di fissazione (con o senza cemento)
- la qualità dell'osso ospite
- la morfologia dell'anca artrosica
 

Tra i vari mezzi chirurgici terapeutici dell’artrosi d’anca, in fase avanzata, l’artroprotesi rappresenta quello caratterizzato, almeno teoricamente, dalle maggiori possibilità d’impiego, dal recupero post-operatorio più breve, dai risultati più soddisfacenti, a condizione che l’indicazione chirurgica sia stata corretta.

 

 

POSSIBILI COMPLICANZE DELL'INTERVENTO DI ARTROPROTESI D'ANCA

Sebbene l’intervento di artroprotesi d’anca abbia raggiunto degli standard elevati grazie al miglioramento della tecnica operatoria e nella continua evoluzione dei materiali, non è scevro da possibili complicanze.

Considerato un tempo come un intervento ad alto rischio, è oggi divenuto un atto chirurgico routinario nella maggior parte delle Unità Operative ortopediche. Ricordiamo tuttavia le possibili complicanze postoperatorie che anche se possono accadere in un raro numero di casi.

  1. Embolia polmonare acuta
  2. Trombosi delle vene profonde della gamba
  3. Lussazioni e fratture nella protesi totale d'anca
  4. Infezioni

Embolia polmonare: è il distacco di un trombo formatosi in una vena a causa della complicanza precedente, trombo che giunge ai polmoni determinando dolore toracico, difficoltà respiratoria, tosse, talvolta catarro bronchiale contenente un po' di sangue . E' una complicanza molto temibile e pericolosa che obbliga ad un ricovero immediato in un reparto internistico . Per prevenire questa complicanza valgono le norme preventive della trombosi venosa profonda.

Trombosi delle vene profonde della gamba: si manifesta con voluminoso gonfiore dei piede e della gamba stessa, un senso di forte pesantezza all'arto e dolore al polpaccio. Per ridurre la frequenza di tale complicanza occorre eseguire scrupolosamente la terapia a base di eparina consigliata all'atto della dimíssione, effettuare precocemente e con assiduità la riabilitazione prescritta, indossare le calze antitrombotiche eventualmente consigliate.

Infezione: si può manifestare in forma acuta con febbre molto elevata, forte dolore al ginocchio operato che si presenta gonfio e molto caldo al tatto, oppure in maniera più subacuta, con febbricola persistente, ginocchio operato gonfio, caldo, notevolmente dolente. E' una complicanza molto importante ma che a volte può essere dominata con la ripresa della somministrazione di antibiotici per alcune settimane in dosi massicce, spesso in regime di ricovero. Se questo trattamento non ha esito positivo si può arrivare all'espianto della protesi.

Successivamente all’intervento di artroprotesi,

specialmente nei primi mesi successivi,andranno accuratamente evitati alcuni movimenti e atteggiamenti posturali che possono favorire la lussazione della protesi, cioè la perdita dei rapporti tra i due componenti articolari impiantati. Vanno in primo luogo evitati i movimenti di esagerata flessione dell'anca (accovacciarsi, sedersi su poltrone molto basse, etc...); l'arto operato deve tendenzialmente essere mantenuto abdotto (cioè allargato), evitando certe posture come ad es. "accavallare le gambe".
Occorre stare molto attenti ad osservare un’alimentazione equilibrata per non aumentare di peso. E’ proprio il peso forma che dovrà essere mantenuto soprattutto dopo un intervento di sostituzione articolare. L'eccesso ponderale, infatti, rappresenta un altro considerevole fattore di usura, in quanto un materiale non biologico non possiede la capacità di rigenerarsi propria della cartilagine articolare. Le componenti dell’impianto saranno destinate al progressivo deterioramento tipico di tutti i corpi inanimati specie se esistono e permangono quei fattori che favoriscono una compressione esagerata. Inoltre risulta particolarmente consigliabile il mantenimento di un opportuno tono muscolare, che concorre al buon funzionamento della protesi e che rende più difficile la sua lussazione.

 

A questo proposito il protocollo riabilitativo del protesizzato d’anca prevede un momento pre-operatorio ed uno post-operatorio.

Il momento pre-operatorio mira al rinforzo di quei gruppi muscolari che risultano sicuramente deficitari.

La fase post-operatoria, invece, inizia già in 5^ giornata mediante contrazioni isometriche dei gruppi muscolari satelliti dell’articolazione e, solo per casi particolari su stretta indicazione del chirurgo, Kinesiterapia passiva tendente al recupero dell’articolarità.  Per le protesi cementate in 10^ giornata e per quelle non cementate in 60^, il paziente inizierà la deambulazione con carico progressivo per mezzo dell’ausilio di parallele e, successivamente, con due appoggi antibrachiali o due tripodi, che verranno usati per circa due mesi e mezzo dall’intervento.

Dopo questo periodo il paziente potrà abbandonare il primo appoggio dal lato protesizzato e dopo circa 10 giorni riprenderà la deambulazione normale, abbandonando anche il secondo appoggio.

Dopo 2-3 giorni dall'intervento il paziente verrà posto in posizione seduta nel letto e quindi verrà iniziato un programma di cauta mobilizzazione passiva dell'anca.
Dopo 3-4 giorni dall'intervento il paziente esegue una prova di ortostatismo e quindi comincia a deambulare con carico variabile,a seconda del tipo di protesi e della qualità del suo osso, con l'ausilio di un girello.
Dopo 7-10 giorni dall'intervento il paziente comincia a deambulare con l'ausilio di due bastoni canadesi sempre in presenza del terapista della riabilitazione. Il trattamento viene ampliato con esercizi kinesiterapici di crescente difficoltà.
Dopo 12-15 giorni il paziente viene dimesso dopo la rimozione dei punti di sutura. Il medico compila una lettera di dimissione da consegnare al curante in cui è indicata la terapia antitromboemolitica e antiinfiammatoria da praticare.
Inoltre, in base alle condizioni dell'anca protesizzata viene consigliato al paziente di praticare da solo a domicilio o presso un centro specializzato il trattamento più idoneo.
Il paziente deve eseguire più volte al giorno gli esercizi appresi durante la degenza.

Il paziente viene controllato ambulatoriamente a 45 giorni dall'intervento, a 3 mesi, a 6 mesi e quindi annualmente. Durante tali controlli viene visitato dall'ortopedico ed esegue radiografie di controllo dell'anca operata per valutare la stabilità della protesi.

CONCLUSIONI

La coxartrosi, dunque, è una sindrome dovuta ad incongruenza della leva coxo-femorale; clinicamente per anni, può essere silente, manifestantesi poi con decorso solitamente cronico.

In prima analisi non bisogna trascurare l’apporto della radiologia che appare indispensabile per la diagnosi della malattia e soprattutto serve per impostare un corretto trattamento conservativo o chirurgico. Essa permette poi precise indicazioni che il chirurgo si aspetta in vista dei sussidi terapeutici da mettere in pratica.

L’atto chirurgico, mediante l’impianto di artroprotesi d’anca, trova al giorno d’oggi la soluzione ideale per rivolvere i problemi dovuti all’acuzie del dolore e alla rilevante rigidità articolare. Nelle fasi terminali si è visto che, sia dolore che limitazione articolare, sono così importanti da impedire una accettabile vita di relazione. L’impianto d’artroprotesi d’anca è attualmente un’operazione chirurgica risolutiva ormai routinaria che anche i piccoli Centri Ospedalieri sono in grado di attuare permettendo una più capillare diffusione di questa valida metodica.

Da non sottovalutare, poi, l’importanza del momento ribilitativo rivolto, da un lato, alla profilassi dell’evento morboso e, dall’altro, al recupero di una dinamica articolare compromessa dalla degenerazione e dall’incongruenza articolare. Inoltre il trattamento riabilitativo è indispensabile dopo un importante intervento chirurgico all’anca sia conservativo ma soprattutto sostitutivo. Permette infatti, oltre alla rieducazione della motilità dell’anca operata con esercizi di kinesiterapia attivi e passivi, il ritorno alla stazione eretta, il ripristino dei meccanismi propriocettivi che regolano l’equilibrio e soprattutto consente, con opportuni esercizi di training deambulatorio, il ritorno ad una corretta deambulazione. Ciò è ambito dal paziente che si sottopone all’intervento insieme con la scomparsa della violenta sintomatologia dolorosa.