L’osteoartrosi: pregiudizi e luoghi comuni. La programmazione terapeutica. Prof. V. Pipitone

23.11.2013 12:36

 

Prima di affrontare l’argomento, che mi sono proposto di sottoporre alla vostra attenzione, desidero chiarire perché, ormai da diversi anni, il termine di “osteoartrosi” ha sostituito quello di “artrosi”, che si usava nel passato. Contrariamente a quello che si credeva molti anni or sono, nella patogenesi dell’osteoartrosi non interviene solamente il danno della cartilagine articolare, ma anche un’alterazione dell’osso subcondrale (1) ed anche il mio gruppo (2) ha documentato il coinvolgimento dell’osteoblasta nella patogenesi dell’osteoartrosi. È ben strana la storia dell’osteoartrosi! E’ la più nota e la più diffusa (63% di tutte le malattie reumatiche) tra le reumoartropatie, eppure su di essa persistono tanti pregiudizi e luoghi comuni. Ed è strano che ciò avvenga, perché negli ultimi dieci anni sono stati pubblicati tanti lavori sulla patogenesi dell’osteoartrosi, che però sono ancora poco conosciuti da parte dei medici. Altro elemento da sottolineare è che, sia da parte dei medici, che dei pazienti vi è un certo fatalismo nei riguardi della malattia, che è considerata come una malattia ineluttabile, da cui non ci si può sottrarre e verso cui c’è ben poco da fare anche da un punto di vista terapeutico. In ogni caso il più radicato dei luoghi comuni è che l’osteoartrosi sia una inevitabile conseguenza dell’invecchiamento: nulla di più falso! L’osteoartrosi è una “reale” malattia della cartilagine articolare, ed in particolare del condrocita (3-4-5), cui possono associarsi fenomeni infiammatori della membrana sinoviale. L’osteoartrosi, come è ben documentato da un punto di vista morfologico e, soprattutto, biochimico, differisce nettamente dalla “artrosi senile”, che è una conseguenza dell’invecchiamento della cartilagine articolare, tipica dei soggetti ultrasettantenni. Altro luogo comune molto diffuso, ma che deve essere nettamente sfatato, è quello di far coincidere il referto radiologico di una articolazione con una diagnosi clinica di osteoartrosi. L’esempio più classico riguarda il rachide cervicale. Molte volte, in presenza di piccoli osteofiti, non influenti da un punto di vista clinico, viene formulata, solo in base al reparto radiologico, la diagnosi di cervicoartrosi, dimenticando che la diagnosi delle varie forme di osteoartrosi, e quindi anche della cervicoartrosi, è una diagnosi essenzialmente e sostanzialmente clinica. E’ purtroppo frequente che alcuni sintomi a carico del rachide cervicale vengano imputati a una cervicoartrosi, mentre sono dovuti ad una contrattura dei muscoli nucali, tipica della fibromialgia primaria, che si riscontra, di frequente, in soggetti ansiosi o ansioso-depressi. E’ doveroso sfatare un altro pregiudizio e cioè che l’osteoartrosi sia una forma inesorabilmente evolutiva e che nulla si possa fare per rallentarne l’evoluzione stessa. Oggi si parla molto, ed è giusto che si faccia, di medicina preventiva ed anche nell’osteoartrosi è possibile fare una prevenzione primaria e/o secondaria, quanto meno per rallentare l’evoluzione del processo morboso. E’ di grande importanza la profilassi primaria della coxartrosi e, soprattutto, della gonartrosi, che abbiamo il dovere di fare nei soggetti obesi per ridurre il sovraccarico nelle due articolazioni portanti. Se l’osteoartrosi si è già instaurata, possiamo fare una prevenzione secondaria per rallentare l’evoluzione della coxartrosi e della gonartrosi stesse. Vi sono altri fattori di rischio di danno cartilagineo, soprattutto a livello delle grandi articolazioni (coxofemorali, e ginocchia), e sono il diabete mellito, l’ipercolesterolemia e l’iperuricemia; le prime due patologie agiscono mediante un danno dei piccoli vasi dell’osso subcondrale, la terza, l’iperuricemia, per un danno diretto dei cristalli di urato monosodico a livello della cartilagine articolare. Vi è poi il problema molto frequente dei dolori diffusi lungo il rachide in soggetti con alterazioni posturali o con posture non corrette, mantenute per lungo tempo. In questi casi, prima di pensare ad una spondilo artrosi, bisogna valutare con un attento esame clinico e con una indagine radiologica che non vi sia una contrattura dei muscoli paravertebrali, che è, molto sovente, la conseguenza più immediata delle posture sbagliate. Anche in questi casi è possibile fare una profilassi primaria, ed una profilassi secondaria, se la patologia si è già instaurata, evitando di tenere per lungo tempo posture non corrette o correggendone i danni con la ginnastica o con il nuoto. In ogni caso, secondo la mia esperienza, il luogo comune forse più diffuso è quello di ritenere che ci si ammala di osteoartrosi quando si vive o si lavora in ambienti freddi o umidi. Nessun lavoro scientifico serio ha mai documentato questa affermazione. Non vi è alcun rapporto tra freddo ed osteoartrosi; per quello che riguarda l’umidità, questa può, al massimo, aggravare dolori preesistenti, ma non indurre mai uno stato di malattia. Anche la terapia dell’osteoartrosi non è esente da luoghi comuni e da pregiudizi. Accade di frequente di sentir dire da alcuni pazienti “Mi hanno detto che ho l’osteoartrosi e che non vi è nulla da fare”. Anche questo è un pregiudizio da sfatare, perché oggi vi sono diversi approcci terapeutici per le varie forme di osteoartrosi, sì che si parla di “programmazione terapeutica”. Partendo dal concetto sovraesposto che il “primum movens” dell’osteoartrosi è la patologia del condrocita, cui segue il deterioramento della cartilagine articolare, ne consegue che una terapia “di fondo” o “curativa” si può tentare agendo direttamente sul condrocita. Questo è ora possibile con l’uso dei “condroprotettori “(glicosaminasolfato; galattosaminoglicani) che agiscono nel condrocita, rallentandone lo “stato di malattia”. Un condrocita “ammalato” non è più in grado di sintetizzare in maniera ottimale sia i proteoglicani, che le fibre collagene, sì che la matrice cartilaginea diviene di cattiva qualità; inoltre il condrocita sintetizza in maniera abnorme sostanze nocive (i cosiddetti enzimi litici), che contribuiscono ad un ulteriore deterioramento della matrice cartilaginea. Ovviamente i condroprotettori agiscono prevalentemente in quelle articolazioni particolarmente ricche di cartilagine articolare (ad esempio, coxo-femorali, ginocchia). La condroprotezione non è l’unica metodica del ben più complesso “programma terapeutico”. Due altri cardini di questo programma sono la “terapia sintomatica” e la “terapia riabilitativa”, che mirano ad alleviare il dolore, ad attenuare i processi infiammatori associati, ed a mantenere una buona funzionalità delle articolazioni colpite da osteoartrosi. La terapia sintomatica, a sua volta, si divide in terapia ad azione generale ed in terapia che agisce localmente. La terapia ad azione generale si basa sugli analgesici puri e sui FANS: i primi usati, particolarmente, da alcuni gruppi di reumatologi (ad esempio in Inghilterra), sono scarsamente utilizzati in Italia per il motivo che scopo della terapia ad azione generale non è solo quella di lenire il dolore, ma anche quello di combattere i fenomeni associati (modesta sinovite reattiva). E’ questo il motivo per cui in Italia si usano prevalentemente i FANS, a cicli, e non in maniera continua, come invece è necessario fare in malattie ad alta espressività infiammatoria, com’è, ad esempio, l’artrite reumatoide. Non vi è invece, alcun razionale per l’impiego dei corticosteroidi per via generale; al massimo, come vedremo in seguito, essi possono essere utilizzati per via locale in alcuni casi ben selezionati. La terapia locale ha gli stessi scopi della terapia per via generale (lenire il dolore e combattere i fenomeni flogistici generali) ed utilizza diversi mezzi, quali i farmaci, la terapia fisica e la terapia termale. La scelta del tipo di terapia locale va personalizzata sul paziente osteo-artrosico, in base alla sua età, al tipo di osteoartrosi (senza sinovite reattiva, con modesta sinovite, con netta sinovite) e al tipo di articolazioni compromesse (grandi articolazioni, piccole articolazioni). La terapia intrarticolare con farmaci (acido jaluronico, corticosteroidi) è maggiormente utilizzata in corrispondenza di grosse articolazioni, molto meno in presenza di piccole articolazioni. L’acido jaluronico, che contribuisce ad incrementare la capacità di lubrificante del liquido sinoviale, viene iniettato, a cicli, nel contesto dell’articolazione. I corticosteroidi per via intrarticolare sono utilizzati esclusivamente nelle osteoartrosi (in particolare nel ginocchio) con marcata sinovite reattiva e quindi con fenomeni flogistici associati e con idrartro recidivante. E’ però indispensabile fare lunghi intervalli tra una iniezione e l’altra (non meno di quattro-sei mesi) per evitare danni locali imputabili allo steroide. Accade di frequente di osservare soggetti ultrasettantenni, con politerapia e con lesioni ulcerative e/o erosive a livello dello stomaco o del duodeno: in questi soggetti spesso è impossibile prescrivere FANS o corticosteroidi per via intrarticolare e quindi sarà compito del reumatologo di consigliare al paziente di consultare un fisiatra che sceglierà la terapia fisica più appropriata a seconda della forma clinica e del tipo di articolazione interessata. Nella terapia locale dell’osteoartrosi un ruolo di notevole importanza ha la terapia termale sia come balneoterapia, che come fangoterapia. Un criterio generale da tenere sempre presente è che non vi siano fenomeni flogistici associati, che potrebbero riesacerbarsi, soprattutto in corso di fangoterapia. Come ho detto nel presentare il programma terapeutico del paziente osteoartrosico, vi sono tre cardini da tenere presenti e sono la terapia di fondo, la terapia sintomatica e la terapia riabilitativa. Quest’ultima è di fondamentale importanza nel programma terapeutico sì che ogni struttura reumatologica dovrebbe essere dotata di una sezione di chinesiterapia, come accade per la Divisione di Reumatologia, di cui io sono responsabile. La riabilitazione articolare e muscolare è di rilevante importanza in quasi tutte le malattie reumatiche, se si eccettuano le connettiviti, ed ha un ruolo di primaria importanza nel programma terapeutico dell’osteoartrosi. Gli scopi che si prefigge la terapia riabilitativa sono molteplici ed agiscono, sia a livello articolare, incrementando o mantenendo l’estensione delle articolazioni, sia a livello dei muscoli, per mantenere o per migliorare il trofismo muscolare. Accanto alla riabilitazione, e a lei intimamente connessa, vi è “l’economia articolare”, programma terapeutico non ancora a tutti ben noto e che insegna ai pazienti come risparmiare al massimo le articolazioni colpite da osteoartrosi. L’economia articolare, ormai presente in diverse strutture reumatologiche e che noi utilizziamo correntemente nei pazienti ricoverati nella nostra Divisione, insegna ai pazienti, con l’aiuto di una terapista della riabilitazione, come utilizzare al meglio le articolazioni artrosiche sottoponendole al minimo sforzo. Ausili pratici, ora in commercio, aiutano i pazienti nella esecuzione dei moventi più complessi. Mi auguro vivamente che questo articolo possa finalmente sfatare tutti i pregiudizi e tutti i luoghi comuni, che si sono accumulati nell’osteoartrosi nel corso dei decenni trascorsi. Mi auguro, altresì, che i pazienti cui viene formulata la diagnosi di osteoartrosi, accolgano con serenità la diagnosi stessa, fiduciosi che nell’ampio protocollo terapeutico che abbiamo a disposizione sia possibile trovare una soluzione ai loro problemi.