FRATTURE NELL'OSTEOPOROSI - Dott. Domenico Gullotta

13.12.2013 23:58

In conseguenza del marcato incremento dell'aspettativa di vita, il numero di anziani è progressivamente cresciuto e questo mutamento demografico ha avuto ripercussioni importanti sulla salute pubblica, anche per l'aumento del numero di fratture derivanti all’osteoporosi. Infatti le fratture sono l’effetto più temibile che si manifesta quando la malattia ha determinato la carenza strutturale dell’osso.

Le fratture osteoporotiche in generale sono causa di disabilità anche di grado elevato di tipo fisico e psichico, di dolore cronico, di incremento della morbilità, di ingenti oneri economici per impegno di risorse finanziarie ed umane nel campo socio-assistenziale.

Rimanendo a lungo asintomatica l’osteoporosi conduce ad una progressiva perdita di massa ossea da parte del tessuto scheletrico, rendendolo incapace di resistere a sollecitazioni traumatiche ma anche fisiologiche. Tale perdita coinvolge sia l'osso spugnoso che quello compatto, ma è soprattutto dall'alterazione del primo che origina la principale conseguenza biomeccanica e spesso la prima manifestazione clinica: il collasso della struttura trabecolare indebolita e quindi la frattura.

Recentemente l'OMS ha introdotto il rischio di trattura come elemento determinante nella diagnosi di osteoporosi, stabilendo il livello di depauperamento osseo significativamente associato ad una chiara incidenza alla predisposizione alle fratture.

Pertanto, dopo aver stabilito in base a criteri statistici i livelli di riferimento per sesso ed età, sono stati definiti tre gruppi a valore di densità minerale ossea decrescente, associati ad un diverso rischio di frattura:

  1. Soggetti normali;
  2. Soggetti osteopenici;
  3. Soggetti osteoporotici.

Movimenti a rischio sono piegarsi in avanti per raccogliere qualcosa o per rifare il letto, oppure facili cadute in casa alzandosi da una sedia, inciampando in un gradino o scivolando nel bagno o nella doccia. In realtà basta soltanto un movimento brusco per determinare la lesione ossea ed un traumatismo, anche minimo, può però determinare importanti fratture scomposte che necessitano di interventi chirurgici di stabilizzazione o di osteosintesi.

Circa il 7% delle donne della popolazione bianca di 60 anni subisce una frattura per questi futili motivi ma a 80 anni tale percentuale raggiunge il ragguardevole valore del 25%.

Le ossa maggiormente soggette a rompersi sono le ossa del collo del femore, del collo dell’omero, quelle del polso e delle vertebre. Tuttavia, tutte le ossa dello scheletro possono fratturarsi a causa dell'osteoporosi. Le persone più esposte a questi pericoli sono le donne, che hanno il 27% di probabilità in più di fratturarsi rispetto agli uomini. Nelle donne, infatti, la massa ossea inizia a diminuire a partire dai 35-40 anni a causa dell'invecchiamento fisico. Inoltre le donne sono dotate naturalmente di una massa ossea minore rispetto a quella degli uomini: dopo i 50 anni di età si calcola che 40 donne su 100 esperimentano almeno una frattura mentre per gli uomini la stima di tale evento dopo i 50 anni è valutata intorno al 15%.

Le donne, dopo la menopausa, hanno una maggior esposizione alle fratture proprio perché cessa la produzione di estrogeni. L’ incidenza di fratture, comunque, aumenta esponenzialmente con l’età a prescindere dalla iniziata menopausa..   

Anche gli uomini, però, corrono dei rischi: dopo i 60 anni le differenze fra i due sessi vanno via via riducendosi e il pericolo di andare incontro all'osteoporosi e alle fratture è identico in entrambi i sessi. Infatti, dopo gli 80 anni, non esiste più quella differenza fra sesso femminile e maschile che faceva più colpite le donne da questo evento.

La frattura che si presenta più frequentemente nelle persone affette da osteoporosi è sicuramente quella del polso, perchè nel cadere si è portati ad attenuare la caduta appoggiando le mani.

In sintesi le manifestazioni cliniche della patologia non risentono ugualmente del fenomeno invecchiamento: le fratture di polso aumentano progressivamente di incidenza nelle donne dopo la menopausa fino a raggiungere un plateau verso i 65 anni; le fratture del collo del femore aumentano invece costantemente con l'aumentare dell'età, sia negli uomini che nelle donne mentre le fratture vertebrali sembrano aumentare drasticamente dopo la menopausa senza tuttavia livellarsi dopo i 65 anni.

Le fratture di femore mostrano un incremento progressivo con l'avanzare dell'età, raggiungendo il picco di massima incidenza superati i 70 anni: il 70% di esse si verifica dopo il 74° anno con una prevalenza del 20% nei soggetti ultraottantacinquenni, mostrando una netta dipendenza dai processi involutivi legati alla senescenza.

Le fratture vertebrali rispetto alle precedenti mostrano un comportamento intermedio in relazione all'età, con un incremento di incidenza nel periodo post‑menopausale (dell' 1,4% per anno nella fascia compresa tra i 55 ed i 69 anni) che non raggiunge tuttavia un plateau dopo i 65 anni e che si pronuncia ancor di più dopo i 70 anni; quelle insorte dopo i 75 anni hanno un andamento lento nel tempo e sono molto spesso clinicamente silenti.

Come è già stato accennato tutte le ossa, una volta indebolite, possono andare incontro a frattura; infatti altre lesioni traumatiche meno caratteristiche, ma la cui incidenza aumenta con il progredire dell'involuzione osteoporotica dello scheletro, sono rappresentate dalle fratture di bacino (in particolare delle sue branche ileo ed ischiopubiche), di omero (con frequente coinvolgimento della sua epifisi e metafisi prossimale), del collo del piede (fratture malleolari).

Un cenno particolare va fatto per l'immobilizzazione prolungata  che colpisce anche i giovani, infatti caratteristica è l'osteoporosi post‑traumatica o malattia di Sudek che colpisce distretti scheletrici contenuti in tutele rigide e/o privati a lungo degli stimoli funzionali, che spesso interviene nella costituzione di un circolo vizioso:

 

OSTEOPOROSI           FRATTURE         IMMOBILIZZAZIONE

 

 

 

 

LE CADUTE

La maggior parte delle fratture avviene a causa di cadute dalla postura più o meno eretta, sia nell'uomo che nella donna (90%). Le cadute sono un evento molto comune tra gli anziani; circa il 30% degli anziani che vivono in comunità cade una o più volte all'anno e negli anziani ricoverati in case di riposo la proporzione di quelli che cadono raggiunge il 40‑50%. La percentuale degli anziani che cadono aumenta più rapidamente dopo i 75 anni: circa il 3‑5% delle cadute esita in frattura.

Nella caduta il rischio di frattura dipende dall'orientamento, dalle reazioni di difesa e dalla robustezza dell'osso.

Il punto di impatto della caduta influenza il tipo di frattura; nel cadere si è portati ad attenuare la caduta appoggiando le mani, per cui una delle strutture ossee più a rischio è il polso. Qualora inciampando il soggetto tenga la mano iperestesia ed il gomito esteso la risultante forza assiale e torsionale viene trasmessa alla spalla attraverso l’omero causando le caratteristiche fratture della testa o del collo dell’omero. Spesso il meccanismo in torsione è responsabile della

scomposizione dei frammenti ossei

 

Inoltre occorre ricordare che l'anziano cade generalmente di lato, va a terra completamente disteso o sull'anca qualora cammini lentamente, quindi il rischio di frattura d'anca è alto. Durante la caduta l'efficacia dell'azione riflessa dipende dalla velocità di reazione e dalla forza muscolare che dà inizio ai movimenti protettivi. L'invecchiamento porta a una diminuzione del bilanciamento della postura e aumenta il tempo di reazione, il che non permette un cambio di orientamento della caduta e una riduzione della sua energia. La risposta protettiva è alterata per il deteriorarsi dei meccanismi riflessi inoltre in diverse malattie dell’apparato nervoso vi sono danni neuromuscolari come la riduzione della velocità dell'andatura, la disfunzione degli arti inferiori, possibili disturbi visivi e disordini neurologici più complessi dati dalla malattia di Parkinson.

Più che la robustezza dell'osso, uno dei fattori determinanti delle fratture sembra l'assorbimento dell'energia (di caduta), con l'insufficiente dispersione dell'energia dei tessuti molli durante la caduta.

Gli effetti nocivi da caduta, in soggetti con peso corporeo più elevato, sono maggiori quando le cadute si verificano su superfici rigide.

PREVENZIONE DELLE CADUTE

La percentuale di anziani che è soggetta a cadute, anche banali, non è trascurabile. Aumenta molto rapidamente dopo i 75 anni e il 90% delle fratture dell'anca è dovuto a cadute camminando, dal letto, da una sedia o scivolando in bagno.. Le misure per ridurre il rischio di caduta sono quindi il primo strumento di prevenzione delle fratture a livello di tutti i distretti corporei.

L'eziologia delle cadute è multifattoriale e spesso un intervento unidimensionale appare inefficace. Comunque, se è impossibile prevenire tutte le cadute, è importante individuare quei soggetti che presentano un più elevato rischio di cadere. Rimane tuttavia di grande importanza fornire delle misure idonee a prevenire la loro insorgenza, soprattutto in questi soggetti osteoporotici in cui i rischi di frattura sono reali. 

Bisogna dare rilievo al fatto che nelle fratture dei pazienti osteoporotici assume una notevole importanza il progressivo deteriorarsi dei meccanismi riflessi di difesa dalle cadute che compare negli anziani. Infatti, con il venir meno di questi riflessi, in caso di cadute l'impatto con il terreno non è più sufficientemente protetto e pertanto può provocare più facilmente fratture. Infatti, al contrario di una persona giovane, una persona anziana osteoporotica, soprattutto se soggetta ad altre invalidità, può andare incontro ad insicurezza nel camminare o turbe dell’equilibrio date da conflitto “sensoriale” o da possibili deficit neurologici. Si manifesta inoltre la caratteristica rigidità e limitazione artrosica dovuta alla progressiva degenerazione osteo-articolare. L’anziano tende, pertanto, a cadere più facilmente e non può più contrastare, come si verifica nel giovane, la violenza di una caduta con l’elasticità.

Le non meno rilevanti turbe della deambulazione caratterizzano spesso nell'anziano una particolare andatura precauzionale con necessità di appoggi o un'andatura per così dire disturbata caratterizzata da un passo corto, con base allargata, i movimenti degli arti si fanno lenti ed esitanti e da un già ricordato equilibrio precario. Con l'avanzare dell'età non bisogna dimenticare che vi è la tendenza a diminuire la validità dei riflessi posturali che regolano il mantenimento della stazione eretta, l'equilibrio e la deambulazione. La velocità di risposta ai segnali diminuisce progressivamente con l’invecchiamento (combinazione della velocità di reazione e del tempo di movimento).  Il rallentamento alla risposta è particolarmente marcato se il soggetto deve eseguire una funzione complessa o operare una distinzione fra diversi segnali contrastanti. Ricordiamo come le mansioni, che richiedano una elaborazione faticosa per compiti complessi, siano correlate all’efficienza fisica spesso deficitaria nelle persone anziane.

 

 

Nell’anziano pertanto, a causa della ricordata facilità a cadere e della maggior fragilità ossea per via dell’osteoporosi, è più facile che si manifestino delle fratture in corso di traumatismi che normalmente non determinano lesioni. Quando la massa ossea ha raggiunto la soglia di frattura perciò, anche un trauma minimo, che generalmente non determina alcun danno, potrà provocare una o più fratture. Ne consegue che i soggetti affetti da osteoporosi si fratturano con maggiore probabilità rispetto agli individui non osteoporotici di pari età.

 

È utile pertanto suggerire al paziente a rischio una serie di consigli da seguire per minimizzare il rischio di caduta come ad esempio:

Evitare sforzi, piegamenti e movimenti bruschi, ma svolgere una moderata attività fisica quotidiana; ricordare che la superficie dei pavimenti non deve essere sdrucciolevole; occorre stare attenti ai pavimenti bagnati (usare tappeti di gomma vicino al lavandino). Un letto troppo alto può rappresentare un’ulteriore causa di cadute per affrontarvi la salita o la discesa. Letti e sedie non devono ribaltarsi facilmente. Bisogna usare scarpe comode con suole di gomma o antisdrucciolo e con tacchi non troppo alti. Fissare i tappeti al pavimento. L’illuminazione deve essere adeguata: è opportuno pertanto illuminare bene i corridoi e le scale dotandole di un corrimano; sistemare delle maniglie in punti strategici (vicino alla doccia, alla vasca, ai sanitari, ecc...); usare tappetini di gomma nella doccia e nella vasca da bagno. Evitare i cavi elettrici che attraversano il pavimento con i quali si rischia di inciampare. Gradini e mobili non devono essere d’intralcio.

Altri suggerimenti possono essere:

Quando  si fa la spesa occorre usare il carrello come sostegno e per mantenersi in equilibrio. Chiedere che i sacchetti non siano troppo pesanti e domandare sacchetti con i manici, inoltre distribuire i pesi da trasportare in due sacchetti da tenere con le due mani ai lati del corpo. Evitare di bere troppi alcolici, fanno perdere l'equilibrio e indeboliscono le ossa. Non indossare abiti o cappotti lunghi, abiti da sera o accappatoi che possano fare inciampare. Evitare di girare per la casa in calzini, calze o ciabatte che possono far scivolare sui pavimenti. Scendere dal letto lentamente, occorre sedersi sul bordo un momento prima di alzarsi. Controllare l’ udito regolarmente. Se si è affetti da una malattia che impedisce la mobilità, o sono stati assunti farmaci per la pressione o il cuore, è possibile sentirsi disorientati o avere dei capogiri ogni tanto. Se si hanno queste sensazioni è buona norma parlarne col medico di fiducia.

Anche l’abbigliamento dovrà essere adeguato ai cambiamenti indotti dalla malattia osteoporotica, dovrà essere funzionale per eludere le tanto temute cadute che possono provocare le fratture di cui si parlerà. Infatti a seguito dei cambiamenti fisici provocati dall'osteoporosi e dalle fratture vertebrali, si rende difficile trovare l'abbigliamento più adatto. Col passare del tempo le donne con le fratture vertebrali verificano una diminuzione della statura e sviluppano la tipica postura ipercifotica (gobba) e l'addome prominente. Queste condizioni rendono i vestiti per niente eleganti e poco confortevoli.

Il sentirsi di bell'aspetto è connesso fortemente al proprio umore e alla propria autostima. E’ importante nondimeno trovare vestiti adatti e belli allo stesso tempo ma soprattutto pratici per evitare intralci. Ecco alcuni consigli che dovrebbero essere seguiti per avere un guardaroba comodo ma soprattutto funzionale.

 

 

 

  1. Borsette:
    Tenere le mani libere è importante per conservare l’ equilibrio. Una borsetta pesante può causare dolore e perdita d'equilibrio. E’ possibile che portando sacchetti pesanti si possa causare una frattura vertebrale. Sperimentare uno zaino o una borsetta piccola con tracolla leggera.
  2. Scarpe:
    Per le donne con l'osteoporosi, le scarpe devono essere comode, tacco piano o basso. Evitare i tacchi molto alti che potrebbero causare perdita d'equilibrio e cadute.
  3. Gonne e i pantaloni: devono essere orlati bene per non rischiare di inciampare.
  4. Le bluse: devono permettere la libertà di movimento a braccia e spalle.

Sarà impegno del medico effettuare una seria sorveglianza sui farmaci assunti dal paziente osteoporotico, inoltre sarà fondamentale, da parte dei familiari, che ci si accerti delle capacità visive dello stesso, facendolo controllare da un oculista di fiducia.

  • Controllare pertanto se i farmaci che si assumono causino vertigini. Inoltre l'uso di farmaci psicotropi è stato associato a un aumento del rischio di cadute in molti studi. E’ stato però osservato che è proprio l'uso di ansiolitici che appare significativamente associato al rischio di fratture. Gli ipnotici e i sedativi‑antidepressivi sono da evitare e occorre ridurne al minimo il dosaggio se la loro prescrizione è insostituibile con altri farmaci.

Fare esercizi appositi per migliorare la motilità, l'agilità e l'equilibrio.

Controllare farmacologicamente le turbe dell'equilibrio (neuropatie periferiche o artropatie) e ricercare l'eventuale presenza di ipotensione ortostatica

 

  • Controllare spesso la vista (spesso si cade perchè non si vede bene) e, se necessario, indossare occhiali o lenti da vista. Per quest’ultimo punto occorre fare una riflessione in quanto, bisogna ricordare che, gli anziani dipendono dall'input del campo visivo per il mantenimento dell'equilibrio. In studi prospettici l'indebolimento della vista si è rivelato un fattore di rischio per le cadute e, di conseguenza, per le fratture. Una diminuzione dell'acuità visiva porta a una percezione non accurata degli ostacoli ambientali o della loro configurazione e, di conseguenza, aumenta il rischio di scivolare o di inciampare accidentalmente. Il deficit visivo aumenta il rischio di cadere anche perché diminuisce la stabilità posturale, la mobilità e le funzioni fisiche. È quindi necessario accertarsi che gli occhiali siano stati prescritti da uno specialista e che siano portati correttamente.

 

Le fratture osteoporotiche

più caratteristiche

 

Anche se tutte le ossa possono andare incontro a fratture, bisogna ricordare che le localizzazioni più frequenti sono:

  • quelle del polso (frattura di Colles),
  • quelle della testa e del collo dell’omero,
  • quelle della colonna vertebrale dorsale e lombare,
  • quelle mediali e laterali del

             collo del femore.

 

La frattura del polso è la meno grave, ma nelle persone anziane provoca conseguenze che spesso vengono sottovalutate. 

Con la sua tipica deformità a dorso di forchetta (frattura di Colles) è la frattura più comunemente osservata nelle persone anziane affette da osteoporosi in quanto si verifica negli anziani che, come è noto, hanno una maggiore instabilità posturale, hanno minore propensione al movimento, una ridotta velocità di cammino e meno efficaci riflessi di protezione nei confronti di una caduta in avanti. Inoltre, quel che più è importante, è che nel cadere si è portati ad attenuare la caduta appoggiando le mani e il polso viene di frequente coinvolto in questo tipo di incidenti se esiste la tendenza a cadere in avanti camminando.

 Sono dovute a traumi a bassa energia coinvolgenti in prevalenza soggetti di sesso femminile.

La perdita di massa ossea, la maggiore predisposizione alla caduta e la minore capacità di diminuire la forza dell'impatto rappresentano tutti fattori di rischio che concomitano nel soggetto anziano ed osteoporotico.

 

La tipica deformità a dorso di forchetta risulta dalla combinazione di tre componenti:

  1. accorciamento del radio;
  2. angolazione dorsale;
  3. deviazione radiale (radializzazione) del frammento distale.

 

Da un punto di vista morfologico, sono state proposte negli anni vari tipi di classificazione che dessero una descrizione della frattura, una prognosi in termini di stabilità ed un’indicazione di trattamento. La più diffusa al momento e la più completa sembra essere la classificazione AO che individua tre gruppi fondamentali

A ‑extra‑articolari;

B ‑ articolari semplici;

C ‑ articolari complesse.

In generale valori minimi di comminuzione, angolazione, l'assenza di coinvolgimento delle articolazioni radio‑carpica e/o radio‑ulnare sono associate ad una maggiore stabilità una volta ottenuta una riduzione della frattura, mentre una comminuzione volare o dorsale, una scomposizione con o senza coinvolgimento delle articolazioni radio‑carpica e/o radio‑ulnare rappresentano fattori predittivi di instabilità.

 

Il quadro clinico, che raramente lascia spazio a dubbi, è caratterizzato da vivo dolore, tumefazione e deformità dei profili ossei seguiti da impotenza funzionale.

Una volta che si è posta la diagnosi, il  conseguente trattamento di questo insieme di quadri clinici si svolge attraverso le tre tappe essenziali rappresentate da:

  1. riduzione;
  2. immobilizzazione;
  3. rieducazione funzionale.                      

 

Spesso questa frattura necessita di una o più riduzioni eseguite a cielo chiuso in narcosi o praticando un’anestesia locale sui monconi ossei. Seguono poi 4 settimane di immobilizzazione in gesso, per ottenere una riparazione soddisfacente ed un consolidamento accettabile della frattura.

Lo schema più frequentemente utilizzato di contenzione non cruenta prevede l'applicazione di un apparecchio gessato brachio‑antibrachio‑metacarpale flesso a 90° al gomito e modellato in modo tale da assicurare una posizione dell'arto superiore in rotazione neutra, di ulnarizzazione del polso e 10‑20° di flessione volare dello stesso.

A questo, dopo un periodo variabile da 2 a 3 settimane, segue, a giudizio dell’ortiopedico, un altro gesso questa volta più ridotto, comprendente mano e avambraccio: si tratta di un apparecchio gessato antibrachio‑metacarpale con le medesime caratteristiche del precedente e che andrà tenuto per un periodo compreso tra 1 e 2 settimane. Per finire, a giudizio clinico e radiografico, in alternativa a quest’ultima immobilizzazione, otrà trovare utilità uno splint removibile per consentire l’avvio di una precococce riabilitazione per un ulteriore periodo di tempo onde favorire il completo consolidamento della frattura.

 

Infatti il precoce intervento riabilitativo mirato a migliorare la circolazione sanguigna e linfatica favorirà di conseguenza il consolidamento della frattura e il trofismo dei tessuti. Questo iter prevede, inoltre, l'esecuzione di controlli radiografici per evidenziare con rapidità l'eventuale perdita della riduzione ottenuta.

 

In una piccola percentuale di casi,, in cui la frattura scomposta sia instabile e la riduzione incruenta insoddisfacente,, il trattamento chirurgico sarà inevitabile e mirato alla stabilizzazione della frattura stessa mediante l’osteosintesi con l’apposizione di fili di Kirschner, utilizzati allo scopo di mantenere l’allineamento.

In qualche caso  potrà essere utile intervenire chirurgicamente con l’apposizione di una placca avvitata ed eventuale innesto osseo autologo in grado di sostenere meccanicamente il focolaio di frattura e di accelerare la consolidazione.

In altri casi troverà indicazione l’impianto un fissatore esterno che sarà scelto in caso di fratture pluriframmentarie con marcata comminuzione o scomposizione dei frammenti e coinvolgimento

articolare la cui complessità non permette di raggiungere una stabilità soddisfacente con l'inserimento di fili metallici attraverso il focolaio di frattura. I vantaggi di questa metodica sono rappresentati dalle sue potenzialità in termini di riallineamento ed allungamento che essa esercita sui frammenti di frattura grazie alla distrazione mediata dalle strutture capsulo‑legamentose intatte, e dalla precoce mobilizzazione del gomito e prono‑supinazione dell'avambraccio rese possibili dall'assenza di tutele gessate.

Il terzo tempo terapeutico è rappresentato dalla riabilitazione, che deve perseguire due obiettivi principali:

  • il recupero della funzione globale;
  • il ripristino delle caratteristiche di agilità e destrezza proprie della mano, del polso e del gomito.

Di notevole importanza e fondamentale per un risultato finale soddisfacente, appare pertanto il lavoro di recupero. funzionale

Questo deve essere inteso come il recupero della capacità di prensione della mano, a livello sia articolare che mio-tendineo.

Le linee‑guida da seguire nella programmazione dell'intervento curativo sono dettate dal tipo di frattura, dalle sue caratteristiche di stabilità, dalla presenza di eventuali lesioni associate, ma accanto a queste vanno attentamente considerati alcuni fattori legati più specificatamente al tipo di paziente.                               in ~ ~

Infatti, se i pazienti più giovani perdonano, grazie alle spiccate capacità plastiche del loro tessuto osseo, una riduzione non perfettamente "anatomica" della frattura, lo stesso non si può affermare riguardo ai pazienti adulti ed anziani in cui essa si traduce                                                                                                                    funi

in una viziosa consolidazione che permane comportando anomale deformazioni del polso cui conseguono delle limitazioni funzionali                                                                                                           zion~

difficilmente compensabili successivamente.

Per ultimo bisogna tenere presente che, al giorno d’oggi in cui si assiste ad un aumento della popolazione di età avanzata in buone condizioni da salute, si manifesta una differente concezione del concetto di vecchiaia soprattutto in considerazione delle "prestazioni" maggiori cui deve aspirare anche il soggetto longevo (succesful ager) e del rifiuto del concetto di vecchiaia come sinonimo di disabilità.                                                                              date

Considerando l'elevato numero di fratture che colpisce soggetti di età media ed elevata e l'invecchiamento progressivo della popolazione, vanno rivalutate le indicazioni al trattamento conservativo, chirurgico e riabilitativo, in funzione del raggiungimento del miglior risultato possibile, sia in termini di consolidazione che di funzionalità.

 

Inoltre, nella maggior parte dei pazienti, principalmente se in età avanzata, si dovrà valutare con attenzione se sottoporre il soggetto a trattamento chirurgico specie a cielo aperto. Una tumefazione ed un malallineamento di qualche entità sono tollerabili anche se  si avrà una modesta limitazione funzionale permanente.

Nel 5-10% dei casi questo tipo di frattura si associa a lesioni del nervo mediano che saranno evidenziate dall’EMG. In questi casi i disturbi legati ad una sintomatologia dolorosa ed alla  presenza di disestesie nel territorio autonomo del mediano alla mano, saranno persistenti e di lunga durata. La riduzione della forza di presa della mano sarà una caratteristica costante e verrà riferita col fatto che spesso sfuggono di mano gli oggetti afferrati.

 E’ sicuramente la frattura meno preoccupante, in quanto non necessita di ospedalizzazione poiché, il paziente comunemente, non viene operato, ma trattato ambulatoriamente con apparecchio gessato, dopo la riduzione in narcosi o anestesia locale se necessario; comunque, nonostante sia la più banale delle fratture nell’osteoporosi, è frequente che il suo esito sia una deformazione permanente del polso con una discreta rigidità e limitazione in flesso-estensione. E’ stato accertato che esiste un’ampia percentuale (20-30%) di tale deformità recidiva, nonostante ne sia stata eseguita una adeguata riduzione. La limitazione funzionale residua di modesta entità è regola in questi casi.

 

Le fratture vertebrali

 

Le componenti somatiche delle vertebre del tratto dorso‑lombare appaiono particolarmente vulnerabili agli effetti che l'involuzione osteoporotica causa, attenuando la resistenza del tessuto osseo trabecolare.

Questo fa si che la struttura ossea delle vertebre dorsali e lombari perda solidità e più facilmente vada incontro a cedimenti.

Il trauma gioca un ruolo meno importante in questo tipo di frattura rispetto alla frattura del femore, infatti la caduta è responsabile di circa 1/3 delle fratture vertebrali mentre il rimanente è dovuto ad un carico compressivo non tollerato dalla ridotta massa ossea dovuto a movimenti di sollevamento, torsione o piegamento

Affiancano queste cause di ordine metabolico ed anatomo-patologico, essenzialmente due ordini di elementi biomeccanici quali:

 

  1. l'elevata sollecitazione del muro anteriore ai carichi in compressione e flessione ventrale rispetto alle vertebre sovrastanti;
  2. la ridotta estensione delle superfici di carico rispetto agli elementi sottostanti.

 

  Per questo motivo, la rarefazione trabecolare rende i corpi vertebrali incapaci di far fronte

alle sollecitazioni agenti su di essi, anche fisiologiche, in tal modo spesso il crollo si verifica durante il compimento di gesti quotidiani come il semplice chinarsi in avanti o la movimentazione di carichi specialmente se svolta in modo anomalo. Essenzialmente manca quello che viene definito come trauma efficiente e capace, nel giovane, a determinare una o più fratture.

 

Ciò pertanto può condurre al fatto che i traumi minimi ricordati (od anche i movimenti usuali)  possano produrre facilmente le fratture dei corpi vertebrali. Tali fratture, definite anche fratture spontanee sono, si ribadisce, di più frequente appannaggio del sesso femminile dopo la menopausa (anche se altre patologie possono indurle anche in periodi più precoci della vita).

Tali fratture, causa di sintomatologia dolorosa a volte imponente, vengono di consueto curate con metodi incruenti,  quali busti o corsetti ortopedici, che non portano ad alcuna riduzione della frattura, ma solamente alla sua immobilizzazione (per ridurre la sintomatologia dolorosa) sino alla guarigione.

Le fratture vertebrali, insorte nei primi 15 anni della menopausa, pertanto si manifestano frequentemente con un collasso del corpo vertebrale o con un elevato grado di compressione e si accompagnano spesso ad evidente sintomatologia dolorosa, infatti provocano dolore acuto essenzialmente al vertice della cifosi dorsale, al tratto dorso-lombare e alla colonna lombare dove si è manifestato lo schiacciamento.

Il picco di frequenza delle fratture vertebrali si osserva nell’ambito dei segmenti che sono esposti a particolare carico. Successivamente la sintomatologia dolorosa può risolversi completamente oppure può persistere un dolore cronico in sede dorso-lombare con  limitazione della motilità. A livello dorsale il dolore è solitamente ben localizzato, irradiato bilateralmente a fascia e può essere riacutizzato da colpi di tosse oppure dalla digitopressione sulle apofisi spinose delle vertebre fratturate. Le fratture vertebrali "a cuneo" o “da schiacciamento” possono verificarsi spontaneamente o, come asserivamo, a seguito di eventi traumatici anche minimi.

 

La deformazione delle vertebre in seguito a frattura può essere classificata nei tre gruppi che possiamo osservare nella figura e che è possibile evidenziare dalla semplice radiografia standard della colonna vertebrale.

 

  1. Le vertebre normali presentano piatti terminali paralleli.
  2. In proiezione laterale le vertebre più collassate assumono un’aspetto cuneiforme.

E’ la deformazione anteriore a cuneo.

       Interessa soprattutto le vertebre dorsali.

  1. La deformazione biconcava è rappresentata da una depressione concava del margine superiore e spesso di quello inferiore. Interessa soprattutto le vertebre lombari.
  2. Le vertebre interamente collassate appaiono appiattite o schiacciate, esiste un importante cedimento o crollo delle limitanti; è quello che si definisce schiacciamento vertebrale.

 

Tuttavia la scarsa entità della sintomatologia conduce ad una percentuale elevata (stimata intorno al 50%) di fratture non riconosciute ed ad una ridottissima quota di casi ospedalizzati (mediamente il 5%) che rende difficile una corretta stima dell'incidenza statistica del fenomeno.

 

A ragione una dorsalgia od una lombalgia "pura", insorta improvvisamente in un soggetto anziano in seguito ad una contusione od in assenza di essa, esacerbata dai cambi di posizione, dai colpi di tosse, dalla digito‑pressione sulle apofisi spinose dovrebbe sempre mettere in sospetto il medico sulla possibile presenza di una frattura vertebrale ed indirizzarlo ad un approfondimento attraverso una semplice radiografia della colonna.

Il dolore spesso inizia nel giro di un giorno dopo avere sottoposto la schiena a sforzi anche lievi, quali sollevare una valigia o un nipotino, salire su un bus o lavorare in giardino. II dolore si aggrava sempre di più e il paziente può rimanere a letto per parecchi giorni. Spesso si manifesta una rigidità e l’impossibilità di eseguire semplici movimenti di flesso-estensione della schiena, frequentemente viene riferita l’impossibilità a ritornare in stazione eretta dalla flessione del rachide, assunta per lavarsi il viso. II dolore è localizzato generalmente alla colonna; non vi è sempre irradiazione del dolore agli arti.

Comunque pur essendo in molti casi asintomatiche, la presenza di fratture vertebrali,specie se multiple,si accompagna ad una riduzione della qualità della vita a causa di disabilità funzionali e ad un aumento della mortalità valutata a 5 anni dall’evento fratturativo rispetto alla popolazione di controllo.

 

PERCHE’ E’ IMPORTANTE IDENTIFICARE LE FRATTURE VERTEBRALI?

E’ essenziale identificare un cedimento vertebrale di natura osteoporotica dal momento che il suo rilievo ha serie implicazioni per il singolo paziente.In questi casi il rischio di ulteriori cedimenti vertebrali o di fratture in altri segmenti scheletrici è notevolmente aumentato e ciò impone provvedimenti terapeutici urgenti.   La presenza di fratture vertebrali, infatti, costituisce un fattore di rischio importante per il manifestarsi di successive fratture osteoporotiche sia a livello vertebrale ma soprattutto a livello di altre sedi. Ecco perché risulta fondamentale sottoporre ad una radiografia i pazienti osteoporotici in cui si abbia il semplice sospetto di un possibile cedimento vertebrale. La diagnosi di certezza serve per mettere in pratica tutti i provvedimenti terapeutici sia medici che fisiokinesiterapici o con ortesi ortopediche atti a ridurre o annullare il rischio reale di ulteriori schiacciamenti. Sarà anche importante per modificare lo stile di vita prendendo tutte le precauzioni necessarie per eludere tutte quelle azioni a rischio che potrebbero indurre il soggetto a cadere e procurarsi le temibili fratture in altre sedi.

 

VALUTAZIONE DELLE FRATTURE VERTEBRALI

L’esame anamnestico delle fratture, specie se conseguenti a traumatismi, è particolarmente importante nella diagnostica dell’osteoporosi. Mentre le fratture al polso e al femore sono di facile identificazione, venire a conoscenza una frattura vertebrale può invece essere più problematico in quanto spesso clinicamente poco evidenti. La rilevanza diagnostica, prognostica e terapeutica di tali fratture è tuttavia notevole.

Va infatti ricordato che:

  • La presenza di una frattura vertebrale anamnestica è un forte fattore di rischio per recidiva o per fratture in altre sedi, indipendentemente dall’esito della densitometria;
  • Attualmente 2/3 dei pazienti con frattura vertebrale non hanno una diagnosi clinica perché asintomatica o confusa con sintomatologia artrosica;
  • La presenza di una frattura vertebrale o di femore di origine osteoporotica verificatasi in menopausa, documentata da un esame radiologico che evidenzi una riduzione di almeno 4 mm (15%) dell’altezza globale del corpo vertebrale, è ritenuta un’indicazione al trattamento farmacologico, prescrivibile a carico del Sistema Sanitario Nazionale perché ritenuto vantaggioso dal punto di vista farmaco-economico (nota 79/Cuf-ministero della salute).

Pertanto, in condizioni sospette di frattura vertebrale, va richiesta una radiografia della colonna dorso-lombare. La diagnosi di frattura vertebrale si basa su una diminuzione superiore a 4 mm o del 15% dell’altezza anteriore o o centrale del corpo vertebrale rispetto all’altezza posteriore. In caso di crollo vertebrale anche del margine posteriore, il riferimento delle altezze va fatto con quello delle vertebre sovra e sottostanti integre.

 

INDAGINI STRUMENTALI

Radiografie della colonna

Sono necessarie radiografie della colonna toracica e lombare, sia in proiezione antero‑posteriori sia latero‑laterale.

 

 

È un errore comune eseguire radiogrammi solo alla regione dolente. Questo può portare a non diagnosticare fratture asintomanche in altre parti della colonna vertebrale. Inoltre, è consuetudine utilizzare nelle radiografie solo la proiezione laterale. Invece il radiogramma antero‑posteriore è utile per identificare il livello vertebrale della frattura ed escludere altre cause di deformità, come per esempio una neoplasia (associata ad assenza dei peduncoli).

 

Scintigrafia ossea

In alcuni casi la scintigrafia ossea può essere un utile mezzo diagnostico. In una vertebra fratturata vi è un'aumentata captazione del radioisotopo per almeno sei mesi dall'evento di frattura, con tipica distribuzione uniforme nel corpo vertebrale. La scintigrafia può essere utile laddove la radiografia sia dubbia ma la sintomatologia caratteristica. In pazienti con sospetto di tumore (precedente cancro della mammella, anamnesi positiva per perdita di peso) la scintigrafia può essere utile nell'individuazione delle metastasi che spesso colpiscono più ossa. Un aumento della captazione si può avere anche nella malattia ossea di Paget.

 

 

 

 

 

La scintigrafia è utile in pazienti con osteoporosi indotta da corticosteroidi che accusano dolore pelvico. Questi pazienti comunemente sviluppano fratture da alterazioni strutturali e presentano un quadro che colpisce in maniera simmetrica le ali del sacro e dei rami pubici.

 

Risonanza Magnetica

 

La Risonanza Magnetica Nucleare (R.M.N.) è una tecnica diagnostica per immagini altamente sofisticata e di recente introduzione nella radiologia.

Si tratta di un esame non irradiante che non espone l’individuo ad assorbimento radiazioni ionizzanti.

Le sue immagini sono derivate dall’energia liberata dai protoni di idrogeno presenti nei tessuti del corpo umano.

E’ essenziale per lo studio elettivo di tessuti quali:

  • il midollo spinale;
  • le meningi
  • i nervi.

È molto valida infatti per diagnosticare una compressione midollare conseguente ad una frattura vertebrale.

E’ di grande ausilio al chirurgo in quanto, nei rari casi in cui può essere indicato l’intervento, permette di identificare:

  • la sede precisa;
  • l’estensione di eventuali lesioni.

Inoltre questo approccio può essere utile per identificare un deformità recente e distinguere una frattura da una metastasi ossea.

 

TAC

La Tomografia Assiale Computerizzata, o TAC, è un esame diagnostico che combina i tradizionali raggi X con la tecnologia del computer. Ciò consente di ottenere l’immagine radiologica tridimensionale di una sezione trasversale del corpo. Attualmente si stanno imponendo due nuove tecniche, evoluzione della TAC tradizionale: la TAC spirale (lo strumento ruota intorno al paziente come se lo avvolgesse in una spirale) associata a una workstation, ovvero un computer che elabora i dati raccolti, e la TAC multistrato, che "affetta" l'organo da esaminare in sezioni sottilissime, fornendo fino a 8 immagini al secondo. In un tempo molto minore, questi apparecchi forniscono, rispetto alle tecniche tradizionali, un numero molto più elevato di immagini, migliorando l'affidabilità dell'interpretazione diagnostica.

 

Principali caratteristiche

Il vantaggio della TAC rispetto alla radiografia tradizionale è che essa evidenzia anche minime differenze di densità tra i differenti tessuti di un organo, permettendo di visualizzare strutture altrimenti non apprezzabili, specialmente se localizzate in profondità. Attualmente la TAC consente diagnosi accurate su lesioni importanti come quelle del sistema nervoso, dei tessuti molli, dell'apparato muscoloscheletrico.     

 

Trattamento in fase acuta

La prima precauzione da prendere  consiste nell’evitare che l’aggravarsi del quadro clinico possa provocare complicanze neurologiche. Queste sono possibili per interessamento vasculo-nervoso e del midollo da parte dei frammenti ossei della vertebra fratturata.

Il trattamento consiste nel riposo a letto su superficie rigida per alcuni giorni in dipendenza della gravità della frattura, in attesa della risoluzione del fatto acuto e nell’attesa di programmare un’ortesi appropriata. Sarà importante alleviare il dolore con una terapia farmocologica appropriata.

Occorre mettere in atto tutte le procedure di nursing per evitare le complicanze dovute all’immobilizzazione del paziente.

In alcuni casi la deformità a cuneo anteriore dei corpi vertebrali fratturati può essere notevole e per tale ragione può persistere la sintomatologia dolorosa, raramente si può instaurare il rischio di compressione midollare. In tali eventi è stata introdotta recentemente presso Unità Operative ad alta specializzazione una tecnica chirurgica "mini-invasiva" che porta istantaneamente alla risoluzione dei sintomi ed al ripristino (pressochè completo) dell'altezza del corpo vertebrale collassato. Questa tecnica, chiamata CIFOPLASTICA, consiste nell'iniezione nel corpo vertebrale fratturato di uno speciale cemento "osseo", che permette di restituire immediatamente solidità alla vertebra fratturata togliendo il dolore.


L'intervento, effettuato in anestesia generale, consente una dimissione dall'ospedale in pochi giorni e può essere effettuato anche su soggetti anziani, in ragione della sua bassa aggressività

(per maggiori informazioni consultare l’indirizzo internet

https://www.spine-nordest.org/patologie/03.html)

 

POSSIBILI ALTERAZIONI

Tipi di deformità

Come è già stato esposto le deformità vertebrali possono essere a cuneo, ad una superficie concava, a lente ("biconcava" quando entrambe le lamine limitanti sono colpite) e da compressione (anche chiamate da "schiacciamento").

 

Le deformazioni possono essere:

  • cuneiforme:

Le deformità a cuneo sono particolarmente frequenti nel tratto toracico, dal momento che la comune presenza della cifosi in questa regione fa sì che la forza maggiore agisca anteriormente.

  • La deformazione può interessare soltanto una limitante somatica, si parlerà di vertebra concava:

 

  • Se la deformazione interessa le due limitanti superiore ed inferiore si parlerà di deformazione a lente biconcava:

 

Le deformità delle lamine vertebrali sono molto frequenti nel tratto lombare perché la comune lordosi di questa zona provoca un'azione più intensa sull'area centrale della vertebra. Non sembra che vi sia un'associazione fra i tipi di deformità e la gravità del dolore o il livello della densità minerale ossea. Il livello al quale compare la deformità deve essere documentato per permettere confronti nelle visite successive.

 

  • Quando invece si verifica un crollo vertebrale si ha quella che si definisce una lesione da schiacciamento.

 

 

Cifosi e cifoscoliosi

 

A lungo andare, questi schiacciamenti vertebrali a livello dorsale, sono responsabili dell'incremento della cifosi dorsale e della conseguente riduzione staturale che vedremo in seguito.

 Quest’accentuazione cifotica della colonna dorsale può essere segnalata da un parente, o può essere il paziente stesso ad accorgersi di avere avuto "un arrotondamento delle spalle". Con l'andar del tempo gli abiti possono non andare più bene.

Anche in questa circostanza l’uso di un corsetto ortopedico potrà trovare utilità, oltre che per proteggere le vertebre evitando ulteriori cedimenti, anche per quell’effetto definito come richiamo alla postura, in quanto, l’incremento della cifosi dorsale comporta un’alterazione dell’equilibrio dei normali carichi sulla schiena, accrescendo in tal modo la caratteristica rachialgia nell’osteoporotico.

Spesso si manifestano anche deviazioni sul piano frontale causando o aggravando una scoliosi preesistente.

 

Riduzione della statura

La riduzione della statura è un effetto dell'invecchiamento, che risulta da cambiamenti nella postura dovuti ad alterazioni degenerative dei dischi intervertebrali. Altresì la riduzione in altezza dei corpi vertebrali, anche se modesta, moltiplicata per tutte le vertebre ed associata al restringimento dei dischi, può comportare una perdita di statura di qualche centimetro. Il paziente lo nota specie quando considera la propria difficoltà nel raggiungere ripiani più elevati; cosa che in precedenza non aveva mai osservato; si rende conto allora che qualcosa è cambiata nel proprio corpo. È inusuale una improvvisa riduzione di altezza come sintomo d'esordio di una frattura vertebrale; perché si manifesti l’alterazione occorre che passi del tempo. Pertanto la riduzione della statura è un sintomo che si manifesta quando la malattia è già conclamata da tempo.

Da un punto di vista morfologico la deformità conseguente al crollo viene in genere classificata in base al sistema codificato da Genant.

Si tratta di un metodo morfometrico semiquantitativo che valuta la diminuzione in altezza del corpo vertebrale a livello del suo muro anteriore, del suo punto di mezzo e del suo punto posteriore ed identifica deformità di iniziali:

  • grado 1 (riduzione in altezza del 20‑25%);
  • moderate: grado 2 (riduzione in altezza del 25‑40%);
  • severe: grado 3 (riduzione in altezza del 40% o più).

 

 

Alterazione della dinamica respiratoria

 

Il dolore e la compromissione della dinamica respiratoria sono invece tipici  anche delle fratture costali che con una certa frequenza compaiono in questi pazienti. Accompagnate a possibili fratture dei corpi vertebrali del tratto toracico sono responsabili di riduzione della capacità polmonare. Questo può indurre manifestazioni respiratorie come la dispnea o un ritardo di guarigione delle infezioni polmonari.

 

Alterazioni addominali

 

Una riduzione dell'altezza della cavità addominale indica l’interessamento delle vertebre lombari che può manifestare la presenza di addome prominente e deviazione degli organi viscerali.

Le alterazioni addominali possono comprendere di conseguenza anche l’aumento della pressione endoaddominale a cui conseguono disturbi della digestione più o meno importanti.

 

Corsetti ortopedici

Qualora siano evidenziate radiologicamente le fratture vertebrali “a cuneo” o “da schiacciamento”, tipiche dell’osteoporosi, sarà necessario consigliare al più presto al paziente un corsetto ortopedico in stecche e stoffa, lombare o dorso-lombare con spallacci in dipendenza della sede della frattura.

I tutori ortopedici rigidi, che è possibile usare negli schiacciamenti vertebrali da osteoporosi, sono più utili dei corsetti gessati e consentono la quasi immediata possibilità di riprendere la vita normale.

Questi hanno la finalità di scaricare parzialmente le vertebre dorso-lombari, andate incontro alle lesioni osteoporotiche, proteggere la colonna vertebrale contenendo ulteriori cedimenti vertebrali e ridurre altresì la sintomatologia dolorosa.

Bisogna ricordare che il busto ortopedico sarà di grande utilità, durante il periodo di consolidamento della frattura, essenzialmente per queste ragioni:

  • aiuta il paziente ad evitare dolorose flessioni della colonna;
  • riduce il dolore aiutando a supportare la colonna ed a distribuire meglio il peso del corpo;
  • riduce il grado della cifosi.

Le ortesi per la colonna vertebrale hanno pertanto un'azione di sostegno, scarico e immobilizzazione parziale o totale, sia in posizione eretta sia seduta. Si distinguono in corsetti e busti. Il corsetto è una fascia leggera, semirigida, in elastico o in tessuto, che viene utilizzata soprattutto per patologie lombari e lombosacrali. A livello dorsale, infatti, il solo corsetto non è sufficiente, ed è quindi più indicato il busto, più rigido.

 

In queste forme croniche dolorose del rachide, dovute ai cedimenti dei corpi vertebrali, i corsetti ortopedici possono attuare efficacemente un valido supporto allo sforzo muscolare; attenuando di conseguenza la caratteristica e permanente sintomatologia dolorosa.

 

 

LE ORTESI RIGIDE

Per i disturbi derivanti da schiacciamenti vertebrali a livello del passaggio dorso-lombare si possono utilizzare i busti rigidi.

Busti dorso lombari
Sono costruiti in broccato di cotone con inserti laterali in elastico, allacciatura anteriore a velcro e rinforzo posteriore costituito da 4 stecche metalliche di cui 2 paravertebrali.
Vengono costruiti abitualmente su misura per garantire una migliore vestibilità e per consentire una perfetta correzione delle patologie più importanti quali prima di tutti gli schiacciamenti vertebrali da osteoporosi. Possono però trovare indicazione anche nelle:

  • artrosi degenerative;
  • patologie gravi del tratto lombosacrale;
    - situazioni post-operatorie o post-traumatiche;
    - ernie discali;
    - lombosciatalgie di maggiore entità.

Grazie alla specifica conformazione della parte anteriore, questo tipo di busto è particolarmente utilizzabile da pazienti obesi con possibili problemi di laparocele. E' inoltre possibile inserirvi una fascia pelvica, con regolazione anteriore, che consente un controllo della patologia degenerativa a livello della articolazione dell'anca. Questo tipo di busto può essere realizzato in versione "alta" con degli spallacci di sostegno ed è particolarmente indicato nelle patologie del rachide dorsale con complicanze osteoporotiche condizionanti cifosi e listesi dei corpi vertebrali, sia in situazioni conseguenti ai facili traumi nell’anziano. E' inoltre indicato come coadiutore negli esiti di fratture e dorsalgie dolorose.

 

Fra questi esistono modelli più tollerati, perché più leggeri, e sono chiamati corsetti a tre punti o in iperestensione; sono, in genere, in alluminio molto leggero e hanno tre appoggi:

  1. a livello lombare,
  2. a livello pelvico
  3. a livello sternale.

La banda pelvica è fissa, mentre quella a livello dello sterno è regolabile.
Il loro utilizzo è frequente soprattutto nelle persone anziane con frattura del corpo vertebrale di modesta entità senza lesione midollare. In queste circostanza non è necessario utilizzare un mal tollerato busto gessato, ma si usa subito quello rigido, che in genere si porta per qualche mese.

 

E' un presidio indicato nel trattamento di fratture traumatiche e patologiche delle vertebre dorsali basse e lombari, e in caso di crolli vertebrali da osteoporosi.
E' utile anche quando è necessario stabilizzare il rachide in presenza di osteolisi vertebrale a livello dorsale basso e lombare, oltre che in caso di osteoporosi  o di osteomalacia.

 

La durata del trattamento è in media di tre-quattro mesi, ma dipende da caso a caso; sarà lo specialista, in dipendenza dell’entità dello schiacciamento o in presenza di eventuali frammenti ossei, a stabilire il tempo di immobilizzazione col tutore. Il busto deve infatti essere portato fino alla completa risoluzione della patologia.

 

 E’ comunque consigliabile insistere sull’effettuazione di esercizi di flessibilità e di rafforzamento della muscolatura che agisce sulla colonna in quanto, mettendola a riposo, si avrà come conseguenza un’ipotonotrofia muscolare non desiderata. Il sostegno lombare, oltre all’utilità del trattamento in caso di cedimenti vertebrali, è un valido strumento nei casi in cui sia necessario aiutare a mantenere una postura obbligata come spesso si verifica nel paziente spondiloartrosico e osteoporotico con rachialgia cronica.

 

Tali presidi effettuano inoltre una valida azione di sostegno sulla muscolatura addominale ed un efficace effetto di richiamo alla postura corretta in pazienti che, di solito, sono atteggiati in ipercifosi dorsale e col capo anteposto a causa del danno vertebrale. Questo è causato dalla deformazione da schiacciamento, più  o  meno importante, verificatasi a carico delle vertebre dorsali e anche lombari.

 

LE ORTESI SU MISURA Nel trattamento conservativo delle fratture vertebrali gravi si possono utilizzare anche corsetti costruiti in materiale plastico, realizzati su calchi in gesso e adattati al singolo paziente. Si evita così l'utilizzo del gesso, che spesso è mal tollerato in quanto provoca una sensazione di soffocamento. Questi corsetti sono necessari nei pazienti obesi o molto longilinei, oppure in anziani con alterazioni delle curve sagittali antecedenti alla frattura e di difficile correzione, se non con protesi adatte alla loro morfologia.

 

CONTROINDICAZIONI Le ortesi, sia semirigide sia rigide, sono in genere ben tollerate, e non creano irritazioni se indossate sopra un indumento. Sono però controindicate in pazienti con ernie inguinali o iatali. I busti rigidi possono essere sopportati male da coloro che sono stati sottoposti a interventi addominali. Un'attenta valutazione medica è richiesta in caso di pazienti obesi, con disturbi cardiocircolatori o con prolasso uterovescicale, per i quali, in genere, le ortesi vertebrali sono controindicate.  Spesso il paziente anziano osteoporotico presenta una di queste patologie che controindicano l’impiego dei classici busti in stecche e stoffa, sarà importante valutare invece la possibilità di adottare i più tollerati corsetti a tre punti.

AVVERTENZE E' sempre essenziale dopo la prescrizione, al fine di verificare l'efficacia del sostegno, che il paziente indossi proprio il modello prescritto per quel tipo di frattura vertebrale e soprattutto accertarsi che lo utilizzi nel modo corretto e per alleviare il dolore che si accompagna. Occorre comunque evitarne un abuso. Il malato infatti, tende troppo spesso a farne un uso oltremodo protratto, i muscoli spinali, in tale circostanza, perderanno forza, aggravando il danno, perche' e' una buona efficienza di questi muscoli che aiuta a sorreggere la colonna. Il paziente che si abitua ad indossarlo si sente bene quando lo porta, si sente protetto, si sente sostenuto, sente il richiamo alla postura senza difetti che da tempo non era in grado di mantenere. In tal modo però la muscolatura lavora meno, va incontro ad atrofia e le condizioni peggiorano invece di migliorare. Inoltre ci sarà senz’altro un decremento della massa ossea. Nell'anziano, in particolare, il busto deve essere usato pertanto il meno possibile, per privilegiare il lavoro riabilitativo e consentire in breve tempo l’abbandono dell’ortesi.

 

TRATTAMENTO CHIRURGICO

Anche la chirurgia assume un ruolo importante nel trattamento delle fratture osteoporotiche con il trattamento mininvasivo chiamato cifoplastica.

 

Cifoplastica
 

La Cifoplastica Percutanea è un trattamento impiegato nei pazienti affetti da fratture vertebrali osteoporotiche dolorose da compressione di recente insorgenza.
 

La Cifoplastica viene eseguita inserendo un catetere a palloncino o un dilatatore meccanico in polimero nel corpo vertebrale attraverso una cannula metallica di maggiori dimensioni (generalmente 8G). Viene quindi dilatato il corpo vertebrale nell'intento di ristabilirne la normale altezza.
 

Al termine viene quindi iniettato il cemento per consolidare e stabilizzare la frattura.

      

Anche la Cifoplastica è considerata una procedura minimamente invasiva che può essere eseguita in anestesia locale. E' richiesto un solo giorno di ospedalizzazione quindi i pazienti possono ritornare immediatamente a svolgere le normali attività della vita quotidiana.
 

La Cifoplastica trova indicazione unicamente nelle fratture vertebrali recenti (entro 90 giorni); essendo tale trattamento leggermente più complicato della Vertebroplastica e utilizzando una cannula di maggiori dimensioni è preferibile che la Cifoplastica venga eseguita da medici particolarmente esperti.

 

 

POSSIBILI ALTERAZIONI

Tipi di deformità

Le deformità vertebrali possono essere a cuneo,: a lente ("biconcava" quando entrambe le lamine limitanti sono colpite) e da compressione (anche chiamate da "schiacciamento").

Le deformità a cuneo sono particolarmente frequenti nel tratto toracico, dal momento che la comune presenza della cifosi in questa regione ~ fa sì che la forza maggiore agisca anteriormente. Le deformità delle lamine vertebrali sono molto frequenti nel tratto lombare perché la comune lordosi di questa zona provoca un'azione più intensa sull'area centrale della vertebra. Non sembra che vi sia un'associazione fra i tipi di deformità e la gravità del dolore o il livello della densità minerale ossea. Il livello al quale compare la deformità deve essere documentato per permettere confronti nelle visite successive.

 

Cifosi e cifoscoliosi

 

A lungo andare, questi schiacciamenti vertebrali a livello dorsale, sono responsabili dell'incremento della cifosi dorsale e della conseguente riduzione staturale che vedremo in seguito.

 Quest’accentuazione cifotica della colonna dorsale può essere segnalata da un parente, o può essere il paziente stesso ad accorgersi di avere avuto "un arrotondamento delle spalle". Con l'andar del tempo gli abiti possono non andare più bene.

Anche in questa circostanza l’uso di un corsetto ortopedico potrà trovare utilità, oltre che per proteggere le vertebre evitando ulteriori cedimenti, anche per quell’effetto definito come richiamo alla postura, in quanto, l’incremento della cifosi dorsale comporta un’alterazione dell’equilibrio dei normali carichi sulla schiena, accrescendo in tal modo la caratteristica rachialgia nell’osteoporotico.

Spesso si manifestano anche deviazioni sul piano frontale causando o aggravando una scoliosi preesistente.

 

Riduzione della statura

La riduzione della statura è un effetto dell'invecchiamento, che risulta da cambiamenti nella postura dovuti ad alterazioni degenerative dei dischi intervertebrali. Altresì la riduzione in altezza dei corpi vertebrali, anche se modesta, moltiplicata per tutte le vertebre ed associata al restringimento dei dischi, può comportare una perdita di statura di qualche centimetro. Il paziente lo nota specie quando considera la propria difficoltà nel raggiungere ripiani più elevati; cosa che in precedenza non aveva mai osservato; si rende conto allora che qualcosa è cambiata nel proprio corpo. È inusuale una improvvisa riduzione di altezza come sintomo d'esordio di una frattura vertebrale; perché si manifesti l’alterazione occorre che passi del tempo. Pertanto la riduzione della statura è un sintomo che si manifesta quando la malattia è già conclamata da tempo.

Da un punto di vista morfologico la deformità conseguente al crollo viene in genere classificata in base al sistema codificato da Genant.

Si tratta di un metodo morfometrico semiquantitativo che valuta la diminuzione in altezza del corpo vertebrale a livello del suo muro anteriore, del suo punto di mezzo e del suo punto posteriore ed identifica deformità di iniziali:

  • grado 1 (riduzione in altezza del 20‑25%);
  • moderate: grado 2 (riduzione in altezza del 25‑40%);
  • severe: grado 3 (riduzione in altezza del 40% o più).

 

Alterazione della dinamica respiratoria

 

Il dolore e la compromissione della dinamica respiratoria sono invece tipici  anche delle fratture costali che con una certa frequenza compaiono in questi pazienti. Accompagnate a possibili fratture dei corpi vertebrali del tratto toracico sono responsabili di riduzione della capacità polmonare. Questo può indurre manifestazioni respiratorie come la dispnea o un ritardo di guarigione delle infezioni polmonari.

 

Alterazioni addominali

 

Una riduzione dell'altezza della cavità addominale indica l’interessamento delle vertebre lombari che può manifestare la presenza di addome prominente e deviazione degli organi viscerali.

Le alterazioni addominali possono comprendere di conseguenza anche l’aumento della pressione endoaddominale a cui conseguono disturbi della digestione più o meno importanti.

 

 

Le fratture della testa e del collo dell’omero, come nel caso delle fratture di Colles, si verificano nei soggetti sofferenti di osteoporosi e si possono considerare altresì come fratture che si verificano in un “osso fragile”. Nella maggior parte dei casi la causa è rappresentata da meccanismi indiretti, essenzialmente la caduta inciampando con mano iperestesa e gomito esteso. La risultante forza assiale e torsionale viene trasmessa alla spalla attraverso l’omero causando le caratteristiche fratture. L’osso osteoporotico è maggiormente vulnerabile specie alle forze di torsione ed è più facilmente soggetto a cedere per traumi indiretti in torsione.

 

Il meccanismo causale della frattura è in grado di  determinare spesso la scomposizione dei frammenti.

La clinica, sempre basata sui segni caratteristici delle fratture quali il dolore e l'impotenza funzionale, in questa sede può evidenziare anche una dismorfia, propria delle fratture con spostamento, ed una atrofia muscolare, di più tardiva comparsa e frutto di una prolungata immobilizzazione della spalla e del braccio.

Le fratture sub-capitate dell’omero vengono trattate solo in modo funzionale-conservativo, quando la diafisi è stabilmente inserita nella testa dell’omero. L’immobilizzazione del braccio in fasciatura secondo Desault è opportuna solo per un breve periodo di tempo, data la sintomatologia dolorosa. Per fratture più importanti sarà necessario un trattamento sempre  conservativo, però con gesso in abduzione toracica che richiede l’immobilizzazione anche per lunghi periodi di tempo e pone, naturalmente, una quantità di problemi. Perciò bisogna valutare attentamente l’utilità ed il periodo di tempo della cura con gesso visto che i pazienti da trattare sono anziani.

 

 

Attualmente si preferiscono tutori immbilizzatori per braccio e spalla più leggeri e ben più tollerati dai pazienti.

 

 

In alcuni casi, a giudizio del medico, sarà necessario mantenere la spalla in abduzione di alcuni gradi e sarà indicato un cuscino in materiale sintetico per mantenerne l’abduzione

 

Le fratture dislocate, invece, mostrano un’instabilità di alto grado e un trattamento conservativo dà risultati insoddisfacenti. E’ richiesta pertanto una stabilità che solo un’osteosintesi può dare. In questi casi vengono fatti passare percutaneamente, attraverso la corticale diafisaria dell’omero, più fili di Kirschner che, passando trasversalmente sopra la frattura, vengono ancorati alla testa dell’omero.

 Anche la lussazione della testa omerale, associata alla frattura dell’estremo prossimale dell’omero e/o alla rottura della cuffia dei rotatori, impone una immediata riduzione cruenta e una riparazione chirurgica, che esigeranno, successivamente, un più impegnativo trattamento riabilitativo. Ciò porterà difficilmente, specie in questi soggetti anziani, ad un completo ripristino della motilità articolare della spalla.

 

La frattura del collo del femore

è sicuramente  la più grave tra le fratture che si verificano nell'osteoporosi e presenta una elevata incidenza di mortalità e morbilità. Il tipo di frattura che si manifesta con maggior frequenza è quella pertrocanterica del collo femorale.

 

La particolare conformazione anatomica di questo distretto di carico lo rende                        ed c

particolarmente suscettibile a lesioni fratturative allorquando subentri un indebolimento della sua struttura conseguente all'involuzione osteoporotica.

Oltre il 70% della robustezza dell'anca è dovuta alla sua densità minerale. Il rimanente è legato alla microarchitettura e alla qualità dell'osso.

Si tratta di una frattura che richiede sempre l'ospedalizzazione e che necessariamente, per essere ridotta e sintetizzata, deve essere trattata chirurgicamente con notevole disagio per il paziente.

 È ben noto, inoltre, che le fratture dell’anca negli anziani rappresentano un importante fattore di mortalità, morbilità e costi economici.

Le fratture del collo femorale possono essere distinte in mediali e laterali, essendo le prime intracapsulari e le seconde extracapsulari.

Nelle prime cui la rima di frattura si trova appunto all’interno della capsula articolare, mentre in quelle extracapsulari la rima è identificabile distalmente all'inserzione femorale della capsula articolare.

 

Per quanto riguarda poi la tipologia della frattura occorre ricordare che una frattura mediale interrompe l'irrorazione ematica alla testa data dall’arteria circoflessa e che tale interruzione sarà tanto maggiore quanto più la frattura sarà vicina all'epifisi e tanto maggiore sarà la dislocazione relativa dei monconi; le fratture mediali ovvero sottocapitate e gravemente scomposte saranno quelle a peggiore prognosi mentre quelle laterali basicervicali o pertrocanteriche e composte la prognosi sarà migliore. Quindi nelle fratture biologicamente più sfavorevoli si preferirà un trattamento che prevenga il rischio di pseudoartrosi e necrosi sostituendo la testa del femore con le artroprotesi o endoprotesi di cui si parlerà più avanti.

Le manifestazioni cliniche sono caratterizzate da:

  • dolore: all'anca, alla coscia ed eventualmente al ginocchio, non di rado esso limitato o addirittura assente;
  • atteggiamento dell'arto: accorciato ed extraruotato; l'extraruotazione  tipica delle fratture della base del collo in quanto in quelle più prossimali, cioè capulari, la presenza di quest'ultima agisce da freno all'extrarotazione che non supera di norma i 60°;
  • impotenza funzionale: impossibilità a sollevare attivamente l'arto dal piano del letto, ematoma tardivo.

 

L'osteosintesi, cioè l'immobilizzazione della frattura mediante placche angolate o viti o chiodi previa riduzione, ha il vantaggio di essere meno invasiva rispetto alla protesi e di consentire una precoce mobilizzazione senza però permettere una rapida ripresa del carico. Sarà da utilizzare quindi nei soggetti più giovani e che presentino fratture laterali (basicervicali o pertrocanetriche) e comunque ben ingranate; l’anziano osteoporotico raramente rientra in questa tipologia di pazienti.

Occorre infine ricordare che in un poco elevato numero di casi si può ricorrere ad un eventuale trattamento incruento mediante trazione ed immobilizzazione a letto, da riservarsi esclusivamente a casi di fratture incomplete e ben ingranate o a casi non operabili.

 

I chiodi di Ender rappresentano un mezzo di sintesi cosiddetto di minima in grado di dare una discreta stabilità al focolaio di frattura attraverso un intervento a basso impatto per il paziente, indicato nei casi di elevato rischio operatorio e limitate richieste funzionali.

 

Altro sistema di osteosintesi per le fratture laterali del collo del femore utilizza l’impianto di chiodi gamma.

 

L’obiettivo del chiodo gamma è creare un sistema osso-mezzo di sintesi in grado di trasmettere le forze che si concentrano sull’articolazione dell’anca, attraverso la frattura fino alla corticale diafisaria, favorendone una equa distribuzione tra osso e mezzo metallico. (Pipino 1989, Procter 1991, D’Imporzano 1994).

Determinante in senso positivo è il fatto di essere una tecnica poco invasiva, a cielo chiuso: ciò comporta il vantaggio della non esposizione del focolaio di frattura, salvaguardandolo da eventuali contaminazioni batteriche e conservandone, con l’ematoma di frattura, le potenzialità callogeniche.

Altro vantaggio, in considerazione della stabilità assicurata, si configura prendendo in considerazione l’opportunità di controllare e dominare le sollecitazioni angolari e rotatorie e la possibilità di una mobilizzazione precoce, per prevenire patologie secondarie.

Può rappresentare la soluzione pressoché ideale per il trattamento di fratture prossimali complesse del femore nel paziente anziano, in quanto offre una stabilizzazione più efficace mediante principi biomeccanici più validi; ciò soprattutto, in considerazione che le alternative di sintesi comportano un’ampia esposizione del focolaio e/o minore stabilità interframmentaria.

Per meglio comprendere i motivi di scelta di questi mezzi di sintesi bisogna ricordare ancora una volta l’importanza che ha la vascolarizzazione dell’estremità superiore del femore. Come è già stato puntualizzato nelle fratture mediali è compromessa la vascolarizzazione della testa e del collo femorale, in quanto viene ad essere interrotto l’apporto ematico, derivante dall’arteria circonflessa del femore, interessata dalla rima di frattura. In questo caso, intervenendo con mezzi di osteosintesi quali le viti cannulate o le placche angolate o i chiodi, sarà molto probabile una necrosi asettica della testa del femore o una pseudoartrosi.

 

E’ perciò preferibile intervenire con un’endo- o artroprotesi che, sostituendo la testa del femore con una protesica, annulla questo probabile rischio.

 

 

ENDOPROTESI D’ANCA

 

Inoltre usando le endoprotesi o le artroprotesi cementate, indicate in pazienti anziani sopra i 65 aa. di età, con osso poco consistente a causa dell’osteoporosi si avrà il notevole vantaggio di un recupero articolare in tempi brevi.

 

 …e la non trascurabile possibilità di far deambulare il paziente con ausilio di parallele o due appoggi antibrachiali potendo concedere un carico progressivo già dopo qualche giorno dall’intervento.

Il programma riabilitativo infatti deve affrontare il più precocemente possibile esercizi di rinforzo dei muscoli coinvolti nella deambulazione (in particolare glutei e quadricipiti) e di articolarità, sia a livello dell'anca che del ginocchio, allo scopo di contrastare l'instaurarsi di rigidità e di facilitare il successivo recupero della funzionalità dell'arto operato. Questo consentirà, in  pochi giorni, di guadagnare la stazione eretta e di poter riprendere la deambulazione.

Sarà possibile, in tal modo, scongiurare tutte le complicanze dovute ad un’immobilizzazione prolungata, altamente dannosa per un soggetto specie in età avanzata.

L'allettamento prolungato, invero, contribuisce in modo inesorabile allo scadimento delle condizioni generali, alla perdita di tonotrofismo muscolare, alla perdita ulteriore di massa ossea (con aggravamento ed estensione poli‑distrettuale dell'osteoporosi) ed espone il paziente ad un maggior rischio di complicanze sistemiche come le patologie cardio‑respiratorie, le infezioni delle vie urinarie, le i probabili piaghe da decubito.

Da non sottovalutare poi le complicanze psicologiche che nel soggetto anziano contribuiscono ad aggravare ulteriormente la prognosi. Depressione ed anoressia infatti possono concorrere all’aggravamento del quadro clinico già carente.

 

TRATTAMENTO in generale

 

La prevenzione rappresenta l'approccio più razionale e moderno al problema dell'osteoporosi e la diagnosi precoce ne costituisce uno dei fondamenti indispensabili.

Le strategie d'intervento terapeutico devono affrontare il problema su diversi fronti. Da un lato il trattamento si basa sull'intervento sullo stile di vita.

 Occorre la sensibilizzazione sull'importanza di

  • un'alimentazione con un adeguato apporto di calcio, di vitamina D e ricca in proteine
  • una costante attività fisica, soprattutto nell'età adolescenziale, -momento in cui si forma il bagaglio osseo dell'individuo-, ma anche nell'età post-menopausale e nella terza età.
    1. Bisogna evitare l'immobilizzazione
    2. Bisogna favorire, con movimenti attivi e passivi, il trofismo osseo.

 

Oltre all'alimentazione povera di calcio, di vitamina D e alla vita sedentaria, dovranno essere evitati, quali fattori a rischio, una scarsa esposizione ai raggi solari, il fumo, l'abuso di alcool e caffè, lo stress.

 

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