UNA STORIA VERA....

14.11.2013 08:28

Non ho mai voluto credere che questa storia fosse la realtà, ho vissuto per più di due mesi con la convinzione di trovarmi in un mondo surreale, in un sogno appunto. Non volevo ammettere che questa bella macchina, il mio corpo, avesse subito un grave incidente e si fosse fermata. Quando c'è stato il mio risveglio dal coma ricordo che tutto ciò che mi circondava appariva stranissimo, surreale. La stravaganza delle cose che mi circondavano la giustificavo col fatto di vivere in un sogno ed in un sogno esistono tante cose inspiegabili di cui non riuscivo darmi una chiara interpretazione.

Ho sempre sperato di svegliarmi e di non sognare più, poi, passando molti giorni, e vedendo che il sogno era permanente mi son posto il fatidico dubbio che ha rivoluzionato la mia vita: va a finire che è vero!

Purtroppo non stavo vivendo un sogno ma quella era la triste realtà!

Che ci fossero degli incidenti automobilistici gravissimi lo sapevo bene, ne sentivo parlare spesso alla radio ed alla televisione e poi, con la mia attività di traumatologo, stando in pronto soccorso, veramente ne vedevo di tutti i colori. Per fare quel lavoro mi ero "barricato", non dovevo essere assolutamente coinvolto emotivamente dagli incidenti che vedevo, se non mi fossi comportato in questo modo e mi fossi fatto coinvolgere dalle disgrazie che capitavano agli altri, naturalmente, non avrei potuto fare quel mestiere.

Il fatto di non lasciarmi coinvolgere aveva altresì creato in me una situazione in cui psicologicamente non vedevo possibile, anche nella realtà, che un incidente di quel calibro potesse capitarmi.

Mi sentivo erroneamente immune, come se io non fossi un essere umano sottoposto alle avversità della vita.

Questo fatto lo paragonerei a quello che si verifica nei piloti di formula uno e nei piloti di aerei.

Ricordo che quando facevo il servizio militare in aeronautica e avevo modo di visitare i piloti, discutendo con loro avevo l'impressione che si ritenessero dei superuomini.

Avevo capito il motivo di tale atteggiamento: per fare un lavoro altamente rischioso con la possibilità per un'inezia di lasciarci la vita dovevano essere "caricati". Non bisognava pensare assolutamente che potesse verificarsi un misfatto o, se accadeva, poteva occorrere agli "altri".

Se così non fosse stato, se non ci fosse questa barriera psicologica, nessuno avrebbe fatto quel mestiere.

La stessa cosa avveniva per me, se non avessi ritenuto di essere immune, guardando con distacco le disgrazie altrui, non avrei potuto fare il mestiere di traumatologo.

Naturalmente la convinzione di essere immune, consolidatasi in lunghi anni di quel mestiere, aveva fatto si che rimanessi sbigottito quando invece mi ero ritrovato io al posto di un traumatizzato.

IL COMA

Tutto è iniziato circa un anno e mezzo fa, non avrei mai voluto che accadesse ciò che sto per raccontare. A dire il vero non mi è mai passata per l'anticamera del cervello che un incidente automobilistico di quella portata potesse capitarmi, in fin dei conti ero convito di essere un buon automobilista. E' come se avessi rimosso quella possibilità e, siccome non era possibile, non pensavo minimamente che potesse avvenire. Pensavo che tutto potesse verificarsi ad un essere umano ma l'ipotesi che si potesse andare in coma non rientrava fra le possibili alternative spiacevoli che potevano accadermi. Per giunta ricordo che, a suo tempo, avevo studiato per la scuola di specializzazione i comi. Mi dicevo che quelle cose erano descritte solo sui libri e solo una minima parte di sfortunati "sconosciuti", andavano incontro a questo evento. Poi se uno andava in coma, erroneamente pensavo, solo con una scarsa probabilità tornava alla vita: era destinato a morire. Mi sono accorto, a mie spese, che invece non è così: come me ho conosciuto altre decine di ragazzi con una storia simile alla mia. Dico ragazzi perchè questa patologia coinvolge con maggior frequenza soggetti in età giovanile proprio per il fatto che nella gioventù c'è maggior dinamismo e, quindi, anche maggiore possibilità di incidenti.

Ora venendo al fatto spiacevole che mi riguarda, gli ultimi ricordi che ho sono della mia vita passata esclusivamente fra casa e lavoro. Ho avuto l'impressione di andare in ospedale come ogni giorno, andare la sera a letto e intraprendere il sonno come sempre.

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Improvvisamente mi ero proiettato al tempo in cui frequentavo il liceo in Calabria.

Non mi ero posto nessuna spiegazione di un fatto così strano, mi sembrava naturale: era normale che fosse così. Ricordo che alle 13:00, all'uscita da scuola, con i miei amici ed i compagni di scuola andavamo al mare a fare il bagno. Era l’inizio dell’estate e faceva un caldo torrido, prendevamo le moto e, come spesso facevamo, andavamo in spiaggia al lido. Dopo un paio di nuotate al largo tornavamo verso riva ed incominciavamo a scherzare facendoci il classico scherzo di "tirare giù i costumi".

Passavamo in questo modo un'oretta e poi, visto che era tardi, andavamo a casa dei miei amici Beppe e Sandro a pranzare. Successivamente intraprendevamo il duro compito di prepararci le lezioni scolastiche per il giorno dopo, solo che lo studiare, incredibilmente, non assumeva la classica caratteristica del dover fare una cosa faticosa anzi, il tempo dedicato a quell'attività trascorreva rapidamente e piacevolmente, neanche me ne accorgevo... se così fosse stato anche nella vita reale, quando veramente frequentavo il liceo!

Dopo aver vissuto alcuni giorni di questa vita, mi ritrovavo, straordinariamente, proiettato ai giorni nostri; ero sempre al mare in Calabria, ma ero in vacanza.

Mi erano state concesse le ferie estive e, come ogni anno, le trascorrevo nel mio paese d'origine in Calabria.

Anche questo fatto strano non aveva suscitato in me alcuna meraviglia, mi sembrava normale e non mi chiedevo spiegazioni.

Sempre con i soliti amici d'infanzia solevo andare al mare, in questo caso veleggiavamo in barca a vela. Ai tempi della mia gioventù insieme con le motociclette la nostra massima passione era diventare dei bravi velisti. Non era molto importante completare opportunamente i nostri studi liceali per intraprendere quelli universitari ma era considerevole, quasi fondamentale, andare in moto molto bene e chi sapeva far bene il timoniere per veleggiare con sicurezza era veramente grande! Aveva raggiunto le massime aspirazioni della vita, aveva superato brillantemente un traguardo che ci sembrava quasi irraggiungibile. Se ci penso adesso, quasi sorrido, ma allora, come si era verificato anche durante il coma, era una cosa imprescindibile per un giovane diciottenne.

Ricordo che eravamo così determinati da sacrificarci svegliandoci prestissimo per armare le barche e cogliere la brezza di mare; dovevamo già essere in acqua per le 7:30 - 8:00, per  cui dovevamo svegliarci come minimo alle 6:30 per poter sfruttare quel potente vento del mattino!

Andavamo in barca a vela tutto il giorno, approfittavamo del caldo torrido per farci un bagno tonificante al largo, dove il mare è più profondo e l’acqua fresca e limpida appare di quel blu scuro che ti invita a sognare ad occhi aperti. Mi immergevo sentendo fluire l’acqua azzurra sul mio corpo da adolescente; avevo così occasione di ripetere al mio mare Ionio che era “soltanto” mio e mi attraeva farmi avviluppare dalle sue onde del blu intenso tipico di quella zona. Ci ritiravamo soltanto quando il sole era calato all’orizzonte, all' imbrunire.

Ero veramente felice, avevo modo di fare tutte quelle cose che avevo sempre desiderato e per motivi di studio e lavoro non avevo più potuto fare fin dai tempi dell’Università. Fra Padova, Verona e Milano, dove avevo completato i miei studi universitari, certo non c’era mai stata la possibilità di vedere il mare. Il tempo era tutto dedicato a leggere e studiare libri: oltre 15 anni con qualche breve pausa estiva.

Era trascorso così un periodo di tempo che mi sembrava lunghissimo.

Un bel giorno però tutto è finito, questo mondo fantastico in cui vedevo realizzati i miei desideri da giovane, improvvisamente non esisteva più.

 

IL RISVEGLIO DAL COMA

Sono andato a letto a dormire ed al risveglio mi son ritrovato... ricoverato all'ospedale di Negrar. Ho pensato subito che quella era un'allucinazione, non poteva essere vero!

Io ero al mare in vacanza, stavo facendo quello che avevo sempre desiderato e poi, invece, mi trovavo ricoverato in quell'ospedale!

 Mi ero persuaso che fosse un'allucinazione!

 Ricordo benissimo che, con il passare delle ore, vista la permanenza dell'allucinazione, mi ero autoconvinto che quello, per forza, doveva essere un sogno. Io ero addormentato e, stranamente, facevo lo strano  sogno di essere ricoverato in ospedale. Infatti cosa ci facessi nell'ospedale di Negrar, che non era il mio, non sapevo spiegarmelo se non come una storia irreale, come appunto un sogno, un brutto incubo.

Si confondeva la realtà con l'immaginazione, in un primo tempo ero convito che vivere al mare fosse la realtà; essere ricoverato in ospedale per forza doveva essere un fatto irreale, un incubo, stavo sognando.

 Pensavo che, proprio io che avevo visto, come medico, centinaia di ricoverati, per un fatto strano, inspiegabile, mi trovavo al posto di coloro sui quali avevo lavorato per oltre dieci anni. Per la famosa legge del contrappasso mi trovavo con un inversione dei ruoli: da medico ero passato a fare il paziente... incredibile!

L'idea si era poi consolidata il giorno seguente, quando mi ero reso conto che andavo a fare la riabilitazione. Andavo a fare la riabilitazione ed i trattamenti fisiokinesiterapici proprio io che insegnavo ai fisioterapisti: assurdo! Poi ricordo di essermi stupito per l'alto numero di fisioterapisti che erano chiamati a quel lavoro. Chi mai poteva avere interesse a pagare tante persone per quattro sciancati, quali eravamo noi ricoverati? Ricordo perfettamente che, in quell'occasione, mi son detto che era tutto falso. Sicuramente era un sogno, bisognava attendere di svegliarsi per ricominciare a vivere normalmente.

Pensando alla mia vacanza al mare ho capito che anche quello era un sogno, avevo fatto una deduzione che adesso mi appare assurda, ma allora, come tutte le spiegazioni forzate che mi davo, mi aveva convinto.

La spiegazione che mi davo era che avevo sognato. Praticamente avevo sognato nel sogno. Era una cosa difficilmente comprensibile però, col fatto che stavo vivendo in un sogno, avevo ammesso che potevano esserci delle cose che non riuscivo a comprendere.

Infatti a fatica riuscivo a spiegarmi che nel sogno di stare a Negrar avevo anche sognato di essere al mare, però non mi preoccupavo tanto di capire proprio perchè era un sogno ed era logico che ci fossero delle cose incomprensibili.

D'altronde se ci fossero state delle  cose logiche, che sogno poteva essere?

 Con la scusa che era una storia irreale legittimavo tanti fatti che altrimenti non sarei riuscito a giustificare.

Altra cosa che ricordo benissimo erano le richieste di fare dei giochi e degli esercizi terapeutici che consideravo "idioti" che mi venivano proposte dai fisioterapisti. Dal momento che loro credevano nella validità di ciò che mi proponevano, sebbene mi sembrasse assurdo, mi sembrava di far loro un affronto mostrando la mia riluttanza. Allora, per non dispiacerli, stavo al gioco. Pensavo che tanto poi mi sarei svegliato e tutto sarebbe finito: per quale motivo ribellarsi? Tanto, anche se era un sogno, non mi sembrava bello opporsi, tutto sarebbe finito e anche quella tortura si sarebbe dissolta nel nulla.

In fin dei conti mi sembrava assurdo osteggiare il trattamento, proprio io che insegnavo ai terapisti e rammentavo loro di tollerare i pazienti e di essere comprensivi nei confronti di quelle persone che mostravano  resistenza e fossero svogliate a fare il trattamento, come il sottoscritto! Chi desiderava fare il terapista della riabilitazione doveva dotarsi di una grande pazienza, l'avevo sempre detto! (... e me ne sono accorto in prima persona!).  Sarebbe stato veramente il colmo se io mi fossi comportato boicottando l'operato dei ragazzi, tutto quello che avevo insegnato valeva per gli "altri", per i pazienti, ma non per me!

Inoltre, avevo notato, loro credevano moltissimo in quello che proponevano a me e agli altri disperati post-comatosi, sarebbe stato veramente scortese e poco educato rifiutare una cosa che reputavano importantissima. In fin dei conti, avevo pensato, a me serviva per passare le ore: proprio io che non avevo neanche il tempo per respirare, che trascorrevo tutta la mia vita di corsa, che lottavo contro il tempo; mi ero ritrovato, invece, con un sacco di tempo disponibile, tempo che veramente non sapevo come trascorrere. La fisioterapia allora veniva presa come passatempo, come giustificazione a stare in palestra con i miei amici adorati. O me ne stavo da solo ad oziare in stanza o trascorrevo il tempo in compagnia dei terapisti e degli altri pazienti post-comatosi a fare, in fin dei conti, cose che poi non mi sembravano molto interessanti. Ma perlomeno se non erano interessanti era un modo per trascorrere il tempo in compagnia e stare a contatto di persone adorabili che, stranamente, si prendevano cura di me e non solo mi facevano fare trattamenti riabilitativi motori, ma si preoccupavano anche di parlarmi e farmi coraggio ad affrontare serenamente la sventura che sembrava essermi capitata….. Ricordo, comunque, che mi mettevano insieme ad altri compagni di sventura a fare dei "gruppi di lavoro" in cui avevamo il compito di socializzare e di raccontare le nostre esperienze. Quanto ho detestato quei fantomatici gruppi, lo sanno bene coloro che erano presenti a quella triste esperienza, reputavo che,  proprio a me, addirittura fin dai tempi del ginnasio, non avevo mai avuto nessuna difficoltà a socializzare con chiunque ed ero sempre stato brillante ed estroverso,  mi veniva imposto di "stare con gli altri"…assurdo! Finalmente dopo un lungo periodo di tortura il lavoro in gruppo era finito ma, proprio per il fatto che mi mancava la compagnia dei presenti, pazienti e fisioterapisti, ero veramente dispiaciuto! Io che avevo avuto sempre molti amici, lo sanno bene coloro che mi conoscono, si può dire che non ho mai sofferto di solitudine anzi, spesso dovevo selezionare a malincuore le persone da frequentare, mi ritrovavo egoisticamente a dispiacermi per la mancanza di compagnia!

Altro avvenimento che proprio non conoscevo: ho compreso la fortuna che mi ero ritrovato in passato ad essere attorniato da molte persone; mi son reso conto che gli esseri viventi, per vivere decorosamente, hanno bisogno dell’apporto che deriva dagli altri individui. Non per niente, ho pensato, siamo esseri sociali e abbiamo bisogno degli “altri” per vivere.

 Col passare del tempo, vivendo gran parte delle mie giornate con i fisioterapisti, avevo finito con l'affezionarmi a loro; in fin dei conti i fisioterapisti erano quelle persone adorabili, maschi e femmine, che vedevo costantemente e che mi avevano curato affettuosamente come ci si può interessare ad un familiare, come non riconoscere questo compito importante? Ricordo perfettamente che ero dispiaciuto che si sarebbero dissolti nel sogno: mi dispiaceva non vederli più al mio risveglio, volevo loro bene, "purtroppo" era un sogno e certamente non li avrei più rivisti, erano una mia creazione mentale, una fantasia, non potevo farci nulla. Ero veramente rammaricato, non era plausibile non rivederli più: mi sembravano così reali!

Possibile….?

Ero tormentato da quella circostanza, dovevo fare qualcosa, accidenti!

La possibilità di volerli ritrovare anche al mio risveglio mi aveva indotto a cercarne i nomi sulla rubrica telefonica, poi al risveglio conoscendone gli indirizzi sarei andato a trovarli. Loro, logicamente, non mi avrebbero riconosciuto, allora pensavo di raccontare il sogno che li aveva visti come protagonisti a loro insaputa.

Cercando sulla rubrica telefonica e riscontrando tanto di indirizzo e numero telefonico ho incominciato a prendere seriamente in considerazione che il triste episodio potesse essere un fatto vero. Non pensavo, infatti, di trovarli sulla rubrica telefonica: io tentavo, ma sicuramente non li avrei trovarti, pensavo che non esistessero; ho avuto una grande meraviglia invece quando le mie ricerche davano esito positivo. La controprova l'ho fatta il giorno seguente chiedendo ai ragazzi se i dati in mio possesso corrispondevano al vero. Ero frastornato incominciavo da quello specifico episodio a pensare che magari quella potesse essere la realtà: possibile?!

Un'altra "mazzata" è stato per me il fatto che venisse a trovarmi Chiara, una ragazza, a cui ero molto affezionato, che aveva studiato con me circa 15 anni fa e poi non l'avevo più rivista. Con il passare del tempo aveva coronato la sua vocazione: si era laureata ed era diventata suora missionaria in Brasile, dando un calcio, come S. Francesco, ai beni della sua famiglia e rinunciando a quella che noi definiamo “vita serena e normale” . Per il motivo di essere diventata suora missionaria era completamente scomparsa e non mi era più stato possibile rivederla. Si trovava in Italia, a Negrar, per un breve periodo di tempo, poi sarebbe ripartita per un'altra missione. Il fatto che ho reputato sconcertante è che, certamente, non potevo ricordarmela. Dopo tanto tempo e tante difficili esperienze doveva essere necessariamente cambiata, non potevo crearmi la sua immagine con la fantasia. Eppure ce l'avevo lì davanti agli occhi, sentivo la sua voce e mi trasmetteva la sua smisurata umanità; sapendo quello che mi era successo e trovandosi  momentaneamente in quella sede, aveva colto l'occasione per venirmi a trovare per darmi qualche parola di conforto. Anche quell'incontro ha contribuito a farmi rendere conto della veridicità di ciò che mi era successo. Stavo vivendo un periodo di perfetto sbalordimento, non riuscivo a rendermi conto delle cose.

Ricordo che spesso volevo andare a letto a dormire, perchè avevo la speranza che al risveglio tutto sarebbe tornato come prima... invece anche al risveglio tutto restava immancabilmente identico a come lo avevo lasciato! Tutti coloro che mi circondavano mi chiedevano preoccupati perchè fossi così stanco da desiderare il riposo, io pensavo che, facendo parte del sogno, non potevano capire le mie idee e dicevo che ero veramente stanco, anche quando non lo ero, e avevo bisogno di riposarmi.

A confermare la teoria che fosse un sogno è stata proprio la visita del mio primario. Una sera, ricordo, che è venuto a trovarmi in ospedale; mi ero detto in quell'occasione: come mai è venuto a trovarmi? Deve essere per forza un sogno! ... oppure è successo un qualcosa di veramente grosso che mi sfugge e non riesco a comprendere!

Ho optato, in quell'occasione, per la prima ipotesi: non poteva essere vero, me l'ero sognato!

Strano perchè uno può sognarsi delle belle ragazze, non il primario!

In quel periodo facevo anche un altro pensiero importante: io non avevo mai invidiato nessuno, anche nelle cose difficili mi ero sempre detto che, con l'impegno e la costanza, sarei riuscito ad affrontare ed a superare le avversità. Per questo motivo nulla poteva turbarmi, era solo una questione di tempo, per alcune cose avrei avuto bisogno di un periodo maggiore per affrontarle, ma poi le avrei superate. Necessariamente, siccome potevo fare tutto, non invidiavo nessuno. Qualunque cosa uno avesse o sapesse fare, con l'impegno, sarei riuscito ad averla o a farla anch'io. Per questo motivo non ho mai invidiato nessuno!

Avevo messo in pratica quello che mi aveva insegnato il mio professore di radiologia: diceva che anche il più ignorante dei suoi assistenti, a via di ripetere un compito, sebbene fosse incapace, alla lunga sarebbe riuscito a farcela brillantemente. Anch'io, nelle cose in cui riuscivo meno, a via di ripeterle le avrei affrontate superandole!

Quell'insegnamento mi è rimasto ben impresso e, posso affermare, l'inesistenza di cose insormontabili: l'importante è avere la costanza di ripeterle nel tempo senza scoraggiarsi.

Eppure in quel periodo qualcosa era cambiata in me: provavo anch'io invidia. Invidia per tutti coloro i quali camminavano normalmente. Io che andavo in giro relegato su una carrozzella invidiavo tutti quelli che camminavano senza il bisogno di ausili!

Era una cosa che mi tormentava quotidianamente, ricordo che triste tutti i giorni andavo al bar dell’ospedale per il solito caffè e guardavo dal basso della carrozzella tutti i "sani" che, con andatura fiera, si avvicinavano al bancone per ordinare qualcosa.

Anch'io una volta, quando stavo bene, potevo camminare e fiero potevo avvicinarmi al bancone con assoluta noncuranza, guardavo tutto e tutti da quell’altezza consentitami dalla postura eretta ma non mi ero mai accorto dell'enorme importanza che aveva una cosa tanto banale.

Quant’era bello dominare il mondo dall’alto e solo dall’alto concesso dalla mia posizione in piedi.

Pensiamoci per un attimo…..

Ora posso capire!

Logicamente era una cosa naturale e, come in tutti, non destava in me nessuna ammirazione. L'ho sempre considerata una stupidaggine, non l'ho mai presa seriamente in considerazione, invece mi sono accorto, da queste circostanze, che è una cosa importantissima; adesso posso confermare che è una delle cose più importanti che abbiamo e assolutamente non ce ne rendiamo conto!

Non invidiavo soldi o potere, a dire il vero non m'interessavano; invidiavo invece una cosa banalissima che hanno tutti i sani, persino i barboni: la deambulazione autonoma. E' proprio vera una frase che ricordo di aver letto mentre studiavo per un esame di ortopedia e non ne apprezzavo l'importanza: il movimento è vita, la vita è movimento. Senza la possibilità della deambulazione mi sentivo veramente finito: cos'era la vita senza deambulazione! A pensarci bene avevo bisogno proprio di tutto: vestirmi, mangiare, andare a gabinetto, farmi la barba... Non parliamo poi della stupenda possibilità di farsi la doccia: nemmeno quella potevo fare! C'era bisogno che mi aiutassero ben due infermieri! E' proprio il caso di dire che possediamo delle cose importantissime e, proprio per il fatto che già le abbiamo, non ci rendiamo conto della loro importanza. Come al solito le consideriamo e ci accorgiamo della loro entità proprio quando ci mancano, proprio quando non le possediamo più.

Muovendomi con una carrozzella ho intimamente compreso l'enorme difficoltà che hanno i disabili nell'affrontare barriere architettoniche inadeguate.

Esisteva un enorme disagio quando dovevo passare per porte troppo strette, potevo prendere solo determinati ascensori (sempre occupati) con una capienza sufficiente per una carrozzella, le scale naturalmente erano un miraggio, anch’io come i disabili non potevo affrontarle!

Erano importanti anche le dimensioni del bagno, bagni troppo piccoli non erano accessibili e la carrozzella impediva il loro uso; all'interno del bagno era indispensabile che ci fossero delle maniglie per sorreggersi quando mi alzavo dalla carrozzella.

Inoltre mi infastidiva il fatto di andare al bar e non potermi sedere ai tavolini come i "cristiani", dovevo sempre ed esclusivamente rimanere su quella dannata carrozzella!

Queste sono tutte cose che possiamo intuire, ci pensiamo soprattutto quando ci viene posto il problema; ma, come al solito, non si possono "apprezzare" se non si vivono in prima persona.

Ricordo che avendo a che fare, col lavoro, spesso con disabili dicevo di comprendere la situazione. Ero fermamente convinto di comprendere intimamente tale disastrosa situazione e ritenevo indispensabile  il fatto di eliminare qualsiasi ostacolo al transito delle carrozzelle, riconoscevo la necessità di far vivere decorosamente le persone costrette a muoversi con questi mezzi. Però, pur essendo addentro, non potevo capire il problema... non l'avevo provato!

In un film recentemente andato in onda alla televisione venivano proposti questi problemi in quanto la protagonista femminile era paraplegica ed effettuava i suoi spostamenti su una carrozzella, ricordo una frase importante che aveva esclamato parlando con un tale che diceva di comprendere il problema: “cosa volete capire voi? Per comprendere bisogna mettere il culo sulla carrozzella….”.

Capisco anche che chi legge penserà a questa situazione, ma, per sua fortuna, penserà solo per un tempo limitato, il tempo necessario per leggere queste parole... poi questa problematica passerà nel dimenticatoio!

Sono convinto che solo ed esclusivamente chi prova questo disagio tutti i giorni, chi mette continuamente il culo sulla carrozzella, possa compenetrare il problema completamente perché lo vive tutti i giorni; le altre persone, i sani, non possono capire assolutamente!

Anche se quello lo consideravo un sogno, lo stesso mi infastidiva enormemente il non poter camminare.

Addirittura non lo sopportavo neanche in sogno.

Si stava facendo strada l'idea, fortunatamente errata, che non sarei più riuscito a camminare. Ricordo che spesso chiedevo ai colleghi e ai terapisti che mi circondavano se i disgraziati nelle mie condizioni, generalmente in una fase successiva, riprendevano a camminare. Se non fossi stato convinto che stavo vivendo un incubo, e avessi preso coscienza della realtà, forse non sarei riuscito a superare quella fase. Devo dire proprio che in questo caso mi ha aiutato moltissimo vivere in un aura: si non riuscivo a camminare ma poi, quando mi sarei svegliato, tutto sarebbe tornato come prima e anche questo handicap sarebbe scomparso.

…………….perché non mi svegliavo?

Proprio per l'esperienza provata in prima persona posso confermare l'enorme disagio che si prova alla mancanza dell'autonomia e posso attestare di essere davvero soddisfatto di lavorare nel campo del "movimento". Con le mie due specializzazioni in campo riabilitativo ed ortopedico si può dire che il campo della motilità è centrato in pieno.

Ora posso lavorare con soddisfazione comprendendo la grande utilità che hanno le persone che si interessano di recupero e per il fatto di aver provato cosa significhi questa fondamentale carenza.

Chi non l'ha provato non può assolutamente rendersene conto, può dire che capisce, che ritiene di sapere cosa significhi ma, per sua fortuna, è distante anni luce da compenetrare il problema.

Io che ho visitato centinaia di persone con questi handicap e che ero addentro alla problematica pensavo di aver capito cosa fosse, ne ero convinto. Invece mi sono accorto che c'è un abisso nel capire realmente le patologie che comportino la perdita della motilità totale o parziale che sia.

Anche chi lavora quotidianamente con queste problematiche sono convinto che sicuramente potrà avvicinarsi a capirle ma, per sua fortuna, non le potrà comprendere a pieno!

Un'altra cosa che voglio ricordare, perchè a suo tempo mi ha colpito, è stata quando sono stato sottoposto alla T.A.C. cerebrale di controllo. In quell'occasione ricordo che ero sbigottito perchè generalmente facevo fare la T.A.C. agli "altri", ai pazienti, ed invece, in quell'occasione, mi trovavo proprio io a fare l'esame. Quell'esame ha contribuito a ricordarmi ancora una volta che "facevo la parte" del paziente.

E' il caso di dire che a stare dall'altra parte si sta decisamente molto male e poi non ho mai voluto accettare l'idea che potesse essere vero. 

In quel periodo cominciava a pesarmi il mio scarso controllo sfinterico ed il disagio del tenesmo rettale. Proprio non passava, o, se c'era qualche miglioramento, era impercettibile. Pensandoci successivamente, credo di aver capito il motivo di quei fastidiosissimi disturbi. Dal momento che ero stato per ben tre mesi con cateteri vari che m'impedivano un controllo sfinterico, una volta eliminati mi riusciva molto difficile trattenermi: dovevo correre repentinamente in bagno. Questo che potrebbe sembrare un disturbo da poco, nella fase in cui mi son reso conto della realtà delle cose, mi ha dato un fastidio tale da rasentare la depressione. Pensavo che quando sarei tornato al lavoro certo non potevo dire frequentemente che avevo bisogno di andare in bagno, ma il fatto più importante era per me la "sala operatoria". Durante un intervento avrei dovuto interromperlo e "cambiarmi" per andare in bagno. La cosa potrebbe essere ammissibile se il fatto avvenisse una volta ogni tanto: solo che io resistevo massimo per un ora e mezza, al di più due ore (mi ero cronometrato). Se fosse continuato questo disturbo  sarei stato costretto a cambiare mestiere, avrei dovuto scieglierne uno più "rilassante" e con meno obblighi!

Come al solito mi ha "aiutato" il fatto di pensare di trovarmi in un sogno, l'ipotetica irrealtà delle cose non mi ha fatto prendere la coscienza di quello che stava accadendo... se avessi avuto lontanamente idea che quello che stava accadendo era vero, lascio immaginare che per lo meno sarei caduto nella depressione più assoluta e, forse, non mi sarei più ripreso!

Pensandoci ancora adesso paragonerei il tutto ad un brutto sogno che facciamo, ad un incubo, mentre lo si sta vivendo sembra vero, però in fondo c'è sempre la speranza che sia una fantasia.

A me è capitato di sognare di essere sull'orlo di un precipizio e poi di cadere nel vuoto, quando c'era l'impatto al suolo e dovevo morire mi svegliavo e mi dicevo :<< Fortuna che era un sogno!>>.

In questa triste circostanza ho sperato sempre, per quasi più di due mesi, di svegliarmi e di potermi dire la fatidica frase :<< Fortuna che era un sogno!>>.

Purtroppo questo epilogo non veniva mai e non è mai venuto!

Le mie giornate trascorrevano così nella speranza che si trattasse solo di una fantasia, una brutta fantasia, e speravo sempre di svegliarmi per ripetermi la fatidica frase. Purtroppo però passava il tempo senza che si verificasse il tanto sospirato evento. Cominciavo a stufarmi e mi dicevo :<< Possibile che non mi sveglio mai? Cosa è successo? Forse bisogna aspettare ancora, in questi sogni non si ha la cognizione del tempo reale; in realtà trascorrono pochi secondi ma a noi sembrano giorni!>>.

Con questa frase che mi ripetevo quotidianamente passavano intere giornate... nulla, come al solito, variava e c'era questa continua fatidica speranza.

Col passare del tempo e senza riscontrare nessuna variazione della situazione cominciavo pian piano a rendermi conto che quel misfatto che stavo vivendo poteva essere vero. E' stato proprio allora, dopo circa due mesi, che timidamente iniziavo a ripetermi fra me e me :<< Vuoi vedere che è tutto vero? Vuoi vedere che non sto vivendo un sogno ma è la triste realtà>>. A via di ripetermi quella fatidica frase e, soprattutto, vedendo che non mi svegliavo e che non stavo vivendo in un sogno, ho cominciato progressivamente ha considerare seriamente il fatto di trovarmi nella realtà.

Altro fatto che giudico importante al fine di rendermi conto della triste realtà delle cose è stato il seguente. Finalmente nell'ultimo periodo di permanenza in ospedale mi era stata concessa la "libera uscita" fra il sabato e la domenica. Pensare che quando ero in servizio ero io a firmare il permesso ai pazienti, anche in quel caso avevo dovuto subire l'amaro boccone di attendere che qualche "pio collega" firmasse il mio permesso. Anche questo fatto ha contribuito a darmi un notevole fastidio: lascio immaginare!

Comunque l'andare a casa, nel mondo reale, contribuiva progressivamente a farmi rendere conto della realtà delle cose.

Un altro tassello che progressivamente si aggiungeva per farmi rendere conto che non vivevo in un sogno, è stato vedere per la prima volta la mia casa nuova finita. Ricordo quanto avevo fatto per racimolare fino all'ultimo centesimo allo scopo di pagarla e soprattutto ricordo di aver scelto a lungo i pavimenti, le porte, gli arredamenti etc.

La messa in opera finale non l'avevo mai vista, perchè la casa doveva essermi consegnata un mese dopo aver subito l'incidente. E' stata una grandissima meraviglia per me andare a casa e vedere: i pavimenti del materiale e del colore che avevo scelto io, i bagni esattamente come li desideravo, la scrivania nuova del mio studio era meglio di come mi era apparsa nel catalogo...

Tant'è vero che, in un primo tempo, mi son detto se stavo dormendo o ero desto, poi mi ripetevo costantemente la frase :<< Questo l'avevo scelto io ed ora lo vedo materializzato>>.

Ricordo che toccavo tutto allibito per la paura che si smaterializzasse... invece era lì, sotto i miei occhi e le mie mani.

Quando ormai stavo per capire che non ero addormentato ma mi trovavo nella realtà, per comprendere meglio che non stavo sognando ho agito in un modo che ancora oggi mi fa sorridere. A quei tempi mi sembrava l'unico sistema per capire se stavo dormendo oppure ero sveglio. Mi ricordo che una sera, come ogni settimana, è venuto a trovarmi Sandro, un mio amico oculista all'Ospedale di Legnago con cui ne ho passate di cotte e di crude. Ricordo che lo avevo conosciuto in IV^ ginnasio, quando aveva l'età di 13 anni.

Dal momento che lo conoscevo benissimo non mi ero mai posto il quesito :<< E' reale o me lo sto inventando?>>. Tanto siccome lo conoscevo bene potevo benissimo essermelo inventato, fino ad allora ero convinto che facesse parte del sogno. Quando poi le cose stavano cambiando mi son posto la fatidica domanda che poi ha rivoluzionato la mia vita :<<Vuoi vedere che è vero? Va a finire che è vero!>>. Con questo amletico dubbio ho aspettato fino a quando, una sera, puntualmente si è presentato in ospedale.

Dopo alcuni minuti che parlavamo mi son messo a toccargli la faccia. Sentendo la  sua carne sotto le mie dita ho pensato seriamente che fosse reale e gli ripetevo:<< Sandro... tu non sei un sogno. Sei vivo, sei reale! Sei qui in carne ed ossa!>>. Ironicamente, perchè è in sovrappeso mi rispondeva :<< Si, son vivo e vegeto: son più carne che osso!>>. Ormai quella frase è rimasta scolpita nella mia memoria, anche ad un anno di distanza la ricordo benissimo, come se l'avesse detta ieri.

Da quel preciso istante toccavo con mano i miei parenti più cari: mia moglie, mia madre, mio padre. E ripetevo a tutti :<< Voi siete veri! Non fate parte di un sogno!>>.

Non contento due giorni dopo mi ero detto :<< Va a finire che sono veri anche i terapisti! Io che ho sempre pensato che non esistessero e li trattavo come esseri immateriali! Proprio i terapisti...>>.

Allora, in quell'occasione, ho voluto toccarli con mano. Meraviglia: erano veri!

Ancora oggi ricordano che ripetevo allibito a tutti:<< Voi esistete davvero, non siete una mia creazione.>>.

Erano reali, vivi e vegeti... ancora oggi stento a crederci. Quest'esperienza contribuisce ancora una volta a dirmi che esiste una sottile linea che separa la realtà e dall'immaginazione. Non si capisce bene dove stia la realtà e dove si trovi l'immaginazione.

E' un dualismo che non riesco bene a spiegarmi. Un filosofo, Nietzsche, aveva posto il problema del dualismo fra il bene e il male scrivendo quel famoso libro intitolato "Al di là del bene e del male". Ci esprimeva che non si sa bene cosa sia giusto e cosa sia sbagliato, sono stati i nostri padri a dirci cos'era bene e cos'era male. Noi lo abbiamo accettato.

E se avessero sbagliato?

Allo stesso modo accettiamo di vivere in un mondo reale... e se il nostro mondo fosse una fantasia?

Tutti questi fatti messi insieme avevano, ormai, contribuito a farmi rendere conto di vivere nella realtà delle cose, ma la goccia che ha fatto, come si suol dire, traboccare il vaso, è stata il fatto che non mi svegliavo mai. Erano passati più di due mesi e tutto restava come prima: era passato troppo tempo, quella purtroppo era la realtà. Avevo subito un incidente automobilistico ed ero andato in coma. Ormai era tutto chiaro.

In quell'epoca mi ponevo il quesito della definizione di realtà.

Che cos'è la realtà? La definizione avevo avuto possibilità di trovarla nel mio dizionario Garzanti della lingua italiana.

Realtà è tutto ciò che esiste, è un termine che ci indica le cose concrete in opposizione alle cose non tangibili. Infatti io, inconsciamente, non conoscendo ancora questa definizione, mi ero convinto di non essere immaginario semplicemente col fatto di "toccare con mano" il mondo e gli esseri che mi circondavano. Dal momento che ciò che mi circondava era ben tangibile, non era impalpabile, mi ero convinto della sua vera esistenza. La prova che mi ha persuaso di trovarmi nel mondo reale è stata quella di toccare e sentire che le persone e le cose erano ben consistenti... erano ben tangibili!

Ricordo benissimo che quando ho capito di vivere nella realtà ho anche immediatamente deciso di non fare più il ricoverato. O venivo dimesso normalmente oppure avrei fatto di tutto per andarmene... anche la classica fuga con le lenzuola annodate!

Oltre alla cena alle cinque non tolleravo più il problema dei bagni. La mattina, siccome eravamo in sei persone per un bagno, ero costretto, per non fare la fila, a svegliarmi prestissimo, prima degli altri per accaparrarmi il posto!

Se malauguratamente mi svegliavo cinque minuti dopo ero costretto a fare la fila per un ora!

 E pensare che a casa mia ho tre bagni!

E' stata in quella specifica circostanza che ho imparato a svegliarmi prestissimo, anche alle 5 del mattino, mai dopo le 6:30.

Quando ho capito che quella poteva essere la realtà non tolleravo più neanche la fisioterapia. Sebbene i fisioterapisti fossero dei bravi ragazzi e mi fossero simpatici, sebbene facessero con passione il loro lavoro, sebbene credessero in ciò che mi propinavano; siccome era un fatto reale, cominciava a farsi strada in me l'idea della ribellione.

Una mia ribellione in tal senso poteva suonare come la mancanza di riconoscenza nei confronti di persone (medici, terapisti, infermieri) che mi avevano "sopportato" e trattato benissimo per circa cinque mesi. Per fortuna non c'è stato l'epilogo negativo come si stava prospettando nella mia mente. D'altra parte voglio vedere io chi riuscirebbe a resistere ricoverato in ospedale per cinque mesi!

A quell'epoca mi era sembrato di tornare a fare il servizio militare: sveglia alle 6:00,  letto come branda, libera uscita il sabato e la domenica!

La cosa assurda è che ci obbligavano a cenare alle 17:00... io dicevo che solo i polli mangiavano a quell'ora! Alle cinque di sera, di solito, si beve il the; in ospedale a Negrar si cena! Ricordo ancora che a quell'ora, ignari, venivano a trovarmi dei miei amici ma, purtroppo, ero assente; dovevo andare al pasto perchè se poi mi veniva un languorino verso le 21:00 sia perchè ero impossibilitato a muovermi per il mio deficit, sia perchè tutto era chiuso, ero costretto a tenermi la fame fino al giorno dopo. Viste le cose mi guardavo bene dal saltare il pasto, quindi purtroppo anche le visite dovevano adeguarsi.

Non avevo mai sopportato l'idea di cenare alle cinque, ma quando ho capito che si trattava di una cosa seria, reale, non lo sopportavo più!

 

REISERIMENTO NELLA VITA QUOTIDIANA

Finalmente è venuto il giorno della sospirata dimissione, ero contento per il fatto che sarei andato a casa ma mi dispiaceva perchè, in questo modo, avrei visto di meno i "miei" terapisti.

Fortunatamente abbiamo tenuto i rapporti anche dopo il ricovero, quando posso vado a trovarli. In fin dei conti non si dimenticano le persone a cui hai voluto bene e che hanno avuto cura di te nel momento del bisogno

In quell'occasione ho elaborato questo pensiero: la mia vita è legata ai terapisti, prima di laurearmi ho frequentato un reparto con dei terapisti, mi sono specializzato nel campo della fisioterapia, ho lavorato con i terapisti, ho insegnato ortopedia ai terapisti e sono stato trattato, in questo spiacevole episodio, dai terapisti. E' proprio il caso di dire che la mia vita è proprio legata ai terapisti.

Una volta a casa è cominciata un'altra odissea, che fosse la realtà ormai non c'erano dubbi, purtroppo dovevo rimboccarmi le maniche e recuperare il più in fretta possibile. Mi ricordo che se c'era uno terribile nei giudizi quello ero io. Non tolleravo di non saper fare una cosa, mi dicevo :<< Come? Non riesci a fare questo? Ma se prima dell'incidente lo facevi benissimo!>>. Ero veramente severo con me stesso, un giudice inflessibile! Il bello era che non potevo celare nulla... non potevo ingannare me stesso! Era possibile farlo con gli altri ma con un giudice inflessibile e che poi sapeva tutto, proprio non era possibile farlo!

Per superare certe cose che in realtà sono stupide, ma non sapevo fare, bisognava avere una grande forza d'animo, occorreva non abbattersi e ritentare quando c'era l'insuccesso. Ricordo che, quando avevo 16 anni e andavo in moto, se un salto non mi riusciva o cadevo, dovevo rifarlo subito dopo. Se non avessi fatto così la paura avrebbe avuto il sopravvento, probabilmente non sarei riuscito a farlo più. Anche in questo caso occorreva fare così; ogni volta che avevo un insuccesso, parecchi, per vincere il fatto di essere un incapace, c'era bisogno di rifare l'azione subito dopo e di rifarla tante volte finchè il risultato non era soddisfacente.

Tutto poteva andar bene quando ero da solo, ricordo ancora quando non avevo la patente e cercavo di muovermi prendendo l'autobus. Nell'autobus di solito c'è tanta gente, una delle prime volte che lo riprendevo ho avuto la malaugurata idea di farlo nelle ore di punta, verso mezzo giorno. Siccome avevo un equilibrio precario, nello spostarmi attaccandomi da una maniglia all'altra, a causa dell'equilibrio instabile, sono caduto come un salame. A dire il vero non avevo visto cadere nessuno, in compenso il primo che è caduto è stato il sottoscritto. Che figuraccia... e poi con tutta quella gente... mi son sentito un verme. Avranno pensato: questo poveraccio dev'essere un ubriacone o un drogatone!

Molto peggio! In realtà è uno che ha preso una bella botta in testa!

Dal momento che la mia muscolatura era un pò ipotonica, dovevo per forza fare degli esercizi che la facessero recuperare così ne approfittai per fare uno sport che mi piaceva moltissimo: nuotare.

Di solito (prima dell'incidente), siccome avevo una resistenza straordinaria, facevo 150 - 200 vasche da 25 metri. Quando mi andava male ne facevo 80 -100. Il mio record negativo di molti anni fa era intorno alle 50 vasche, sempre senza mai fermarsi. Nel caso, per qualsiasi motivo, avessi dovuto fermarmi, implacabilmente ripartivo da zero.

Ebbene una grande delusione è venuta dal fatto che mi son reso conto di nuotare con uno stile da "impiegato della domenica in vacanza", ma la delusione maggiore è venuta dal fatto che proprio non riuscivo a far "vasche". Fermandomi sempre alla fine di ogni vasca (cosa che non avevo mai fatto), sono arrivato a stento a farne una ventina.

Ricordo che allora la depressione regnava sovrana su di me. Sono andato ancora 2 - 3 volte a nuotare e poi, visti i pessimi risultati, non son più riuscito ad andare in piscina!

La ripicca, l'affronto per aver avuto un calo così pauroso, facevano si che rifiutassi di vedere in faccia la realtà. Psicologicamente subire un affronto simile per una cosa che ritenevo di fare bene, non mi permetteva di continuare a farla.           

Ricordo che, a quel tempo, i miei amici mi dicevano :<< Con quel che ti è successo sei addirittura riuscito a fare 20 vasche! Pensa che io non ne faccio più di 4 o 5, poi devo riposarmi per forza!>>.

Sfido, bisogna vedere cosa faceva uno prima!

Se uno faceva dieci vasche a mala pena sarebbe riuscito a farne una, ma per uno che ne faceva 150 - 200 il rapporto rimane simile: il calo atletico è del 90%!

Per fortuna che non faccio l'atleta, altrimenti sarei finito!

In quel periodo di convalescenza a casa ricordo soprattutto che il tempo non passava mai.

Ricordo che avevo intere giornate a disposizione, come avevo sempre desiderato, ma non riuscivo a sfruttarle,  mi annoiavo terribilmente.

In precedenza, spesso mi ripetevo che, se avessi avuto paradossalmente molto tempo libero, l'avrei utilizzato principalmente per fare applicazioni al computer e per ascoltare tutti i miei  numerosi CD musicali.

In realtà mi ritrovavo ad avere ciò che avevo sempre desiderato: il tempo libero.

Potevo fare ciò che volevo... potevo fare tutti i miei hobbies.

Col passare del tempo mi sono accorto, invece, che anche i miei hobbies mi stavano annoiando alla pari del lavoro...

Una cosa, anche se piace, ripetuta a lungo, alla fine annoia.

Le mie giornate trascorrevano così noiosamente. Purtroppo, essendo ormai abituato alla vita ospedaliera, mi continuavo a svegliare prestissimo ed ero costretto ad affrontare le giornate "uggiose" fin dall'alba.

In quel periodo, "fortunatamente", continuavo ad essere sottoposto a trattamenti fisioterapici ambulatoriali che, sebbene fossero ormai fastidiosi, contribuivano, lo ripeto, a farmi passare il tempo.

La mia sindrome frontale, che mi portava ad avere un atteggiamento spavaldo e disinibito, la controllavo bene visto che ero tutte quelle ore da solo in casa. Per fortuna stava regredendo e si manifestasva esclusivamente con  amici e amiche e me ne accorgevo quando venivano numerose a trovarmi… perché ero incredibilmente espansivo con loro! Cosa che non avevo mai fatto ma mi succedeva senza che riuscissi a trattenermi! Pensavo che era ben poca cosa rispetto ai preti che bestemmiavano o alle suore che andavano in giro nude in reparto!

Per completare la mia autonomia mi era stato suggerito di recarmi a Negrar in corriera. Così ho iniziato a viaggiare in corriera, era la prima volta che lo facevo. Si trattava di una cosa che proprio non avevo mai fatto, ricordo che quando andavo al liceo non prendevo mai l'autobus ma, essendo appassionato di motociclette, solevo andarci con questo mezzo su due ruote, anche in gennaio, quando il freddo pungente mi "penetrava nelle ossa"!

Così ho fatto questa triste esperienza. Ricordo che per recarmi a Negrar, innanzi tutto, impiegavo il triplo del tempo che mi occorreva per farmi accompagnare in auto, ma importava poco... tanto di tempo, come dicevo, ne avevo in abbondanza. La cosa che più mi infastidiva, e l'ho ripetutamente detto, era il fatto di essere costretto, parlo dell'estate, a viaggiare in un caldo torrido insieme con i "marocchini". Non che io ce l'abbia con queste persone, però, non avendo l'auto erano costretti a muoversi con i mezzi pubblici e, quindi, ne apparivano quotidianamente tantissimi, tanto da farmi sembrare in un'altra nazione!

Ricordo che fra me e me ripetevo quotidianamente  "Guarda come mi sono ridotto, io che ero abituato a viaggiare velocemente in un auto con l'aria condizionata e la radio con il compact disk... proprio non sapevo che si soffrisse il caldo d'estate e si fosse costretti a viaggiare "lentamente" in compagnia di queste persone!”

Nei giorni che seguivano la mia dimissione mi son reso conto di quante persone conoscessi, infatti quotidianamente venivano a trovarmi tre - quattro amici, non parlando di sabati e domeniche in cui, libere dal lavoro, venivano a trovarmi tante persone che, a mala pena, riuscivo a farle entrare in casa. Questo fatto si è ripetuto per molti mesi tanto da farmi disdire qualsiasi impegno per il fine settimana, dicevo che non potevo muovermi perchè sicuramente, come era di fatto, sarebbero venute a visitarmi una miriade di persone.

Questo avvenimento, che mi faceva immensamente piacere, ha contribuito, ancora una volta, a farmi prendere coscienza del fatto che mi era capitata qualcosa di grosso. Pur non avendo vissuto l'incidente, mi son reso conto, parlando con gli amici, della preoccupazione generale: pensavano di non vedermi più. Questa circostanza mi è stata confermata dalle prime visite che ho fatto nel mio ospedale. Ricordo che, quando mi sono recato a fare un giro la prima volta allo scopo di salutare le persone, sono stato colpito dalla circostanza che tutti, dico proprio tutti, mi guardavano e mi parlavano meravigliati. Ho avuto l'impressione che parlassero con un morto resuscitato. Questo avvenimento è durato a lungo, ancora oggi, alcune persone continuano a guardarmi stupite. E' un'esperienza stranissima, difficilmente descrivibile, purtroppo bisogna viverla per rendersene conto. Io che mi sentivo, e mi sento, vivo e vegeto, avevo l'impressione, lo ribadisco, che si parlasse con una persona che era stata all'altro mondo.

Forse avevano ragione!

Comunque, questa partecipazione generale, ha contribuito a farmi rendere conto che la vita continua.

Se non sono caduto nella depressione più profonda è stato soprattutto per questo. Ritengo sia importante il non sentirsi abbandonati. Quando la vita tende a lasciarti ti sembra di essere inutile, ti sembra che il mondo e le persone ti abbiano abbandonato. E', in questo caso, che ritengo sia importante la partecipazione di tutti. Se ho avuto, come si dice, un  recupero importante e repentino lo devo, soprattutto, a ciò. Questo, infatti, è uno dei motivi fondamentali che mi hanno spinto a scrivere questa storia. Perchè è essenziale non far sentire abbandonati soggetti che, tristemente, si trovano in queste condizioni. L'impressione non è che solo la vita ti lasci, ma è il sentirsi abbandonati dalle persone.

Ciò che, devo asserire, mi ha fatto veramente piacere, e voglio ricordarlo, è il fatto che fossero a conoscenza dell'accaduto persone che non vedevo da cinque - dieci anni. Mi hanno fatto sentire il loro calore e, mi son detto, se è successo qualcosa di veramente grave devo superarlo perchè mi sento benvoluto, in fin dei conti, anche se pensavo di contare poco, le persone mi vogliono bene ed è giusto continuare a vivere.

Ribadisco che la partecipazione che ho avuto nel mio ospedale mi ha lasciato piacevolmente stupito. Dico stupito perchè, ancora oggi, stento a credere una cosa simile. Ho sempre pensato, e non lo nego, che, in fin dei conti, se non ci fossi poco importerebbe a chiunque.

Ho avuto, stranamente, l'impressione che nel mio caso non fosse proprio così.

Rimango ancora oggi con il dubbio: o non ho capito niente io o le persone sono state ermetiche celando i propri sentimenti o, più probabilmente, dopo il fattaccio, mosse da compassione, sono cambiate.

Io opto per quest'ultima ipotesi, fino a quando non si verifichi qualcosa che mi faccia cambiare opinione.

Ciò che ancora mi risulta difficile da comprendere è se le persone si siano dispiaciute per me, come individuo, oppure siano rimaste colpite dal fatto che mi è capitato, praticamente dall'incidente. Questo amletico dubbio non son riuscito a risolverlo, ci ho pensato spesso e a lungo ma penso che non riuscirò mai a saperne dare la risposta. Probabilmente non saprebbero darsi risposta nemmeno i miei interlocutori. Però desidero scriverlo perchè voglio invitare alla riflessione, se qualcuno fosse in grado di darmi una risposta io son qui che l'attendo.

Dopo questa parentesi di riflessione vorrei riprendere a narrare i fatti.

Come dicevo mi stavo annoiando a morte, adesso che ho ripreso a lavorare posso affermare di divertirmi veramente. Ho sempre atteso le vacanze, le ferie, come oro colato,  quando sono in ferie vorrei tornare al lavoro.

Ho preso una bella botta in testa? Come si fa a dire che è meglio lavorare?

Per questo motivo, per la noia, mi ha fatto un'immenso piacere aiutare i miei ex studenti a fare la tesi.

Ricordo ancora quando numerosi son venuti a trovarmi, pensavo che, in fin dei conti, dovevano volermi bene. Ricordo ancora quando un ragazzo mi aveva detto :<< Lei non è un insegnante... è un santo!>>.

C'erano stati dei problemi, ricordo, per un compito che reputavano lungo e difficile... in fin dei conti erano tutte cose che avevo spiegato e, poi, nei giudizi ho, necessariamente, tenuto conto di questo fatto.

Facendo studiare tanti argomenti ho esaudito un mio grande desiderio.

Durante le mie due scuole di specializzazione, mai nessuno mi ha parlato di patologie banali ma molto frequenti come ad esempio le periartriti di spalla e le entesopatie. Eppure in ambulatorio visito persone che al 50% sono affette da queste patologie.

Spesso mi sono accorto che molti miei colleghi sapevano a mala pena dell'esistenza delle entesopatie.

 In letteratura, siccome son patologie banali, c'è pochissimo. Ricordo che, volendo approfondire alcuni argomenti, avevo dovuto cercare libri in biblioteche sparse per tutta la città.

Certamente, per studiare, uno studente non poteva perdere tempo a recarsi in varie biblioteche, soprattutto se nessuno parlava dell'argomento accennando alla sua esistenza. Così ho coronato due scopi, ho cercato i vari argomenti per me e li ho trasmessi ai ragazzi. Penso, e spero, che in futuro me ne saranno grati. Almeno ne hanno sentito parlare a scuola una volta e poi, cosa fondamentale, se conserveranno i miei appunti quando, inesorabilmente, si presenterà quella patologia sapranno dove andare a ripeterla e potranno trattarla adeguatamente.

Come dicevo in quella circostanza, siccome avevo molto tempo libero, sono stato felice di aiutarli nella tesi. In fin dei conti mi serviva per tornare, progressivamente, a riprendere il mio lavoro.

Allo stesso scopo, per utilizzare al meglio il tempo, sono stato molto contento ad impegnarmi nell'organizzazione della festa del venticinquesimo anniversario della scuola. Anche quell'attività ha notevolmente contribuito nella mia riabilitazione. A preparare le diapositive con il computer, in cui ero bravissimo, ho messo una certa fatica ed ho impiegato molto tempo per le prime, poi a via di ripetere l'esercizio mi sono "sciolto" ed impiegavo solo pochi minuti per farne una. E' proprio il caso di dire che la scuola di riabilitazione ha partecipato, indirettamente, alla mia rieducazione all'uso del computer per fare le diapositive. Pensare che per i ragazzi, per far comprendere meglio le patologie ortopediche,  avevo preparato, con molto dispendio energetico, oltre 500 diapositive. Nonostante il numero molto elevato, le prime volte mi son trovato in difficoltà... come se non avessi mai fatto niente Come in tutte le cose, riprendere la prima volta è assai difficile, come se fosse un lavoro che non ho mai fatto. Fortunatamente al contrario di un bambino che per tutto deve imparare anche la teoria, io sapendo fare in precedenza il tutto, come muovevo un tasto, come facevo una determinata azione, mi appariva dal nulla il quadro completo: fortunatamente all'apprendimento non avevo bisogno di fare tutti i passi, bastava farne uno per ricordarmi gli altri 15 - 20. In questo modo, per tutte le cose, anche dalle più banali ho impiegato al recupero un tempo brevissimo. In realtà, se avessi dovuto impiegare il tempo normale che impiega un individuo per apprendere le varie cose, probabilmente, starei ancora imparando a camminare.

Il paragone lo farei, quando tempo addietro non mi ricordavo di essermi specializzato in ortopedia. Ricordo perfettamente che pensavo dei miei colleghi in ospedale :<< Guarda questi... mi fanno perdere tempo a fare dei giochetti fisioterapici "idioti". Proprio a me! Con tutte le cose importanti che ho da fare! Ora che ci penso, fra pochi giorni ci sarà la sessione di esami per ortopedia! Devo dire di farmi dimettere se no rischio di perdere l'anno!>>. Poi, ricordo di averne parlato con mia moglie che mi diceva allibita :<< Ma tu sei già specializzato in ortopedia! Come non ti ricordi?>>. Avevo risposto :<< Già specializzato in ortopedia? Non ci credo, è una fandonia. Ora il tempo è poco e, come ogni anno, devo riprendere a studiare! Rischio di perdere l'anno...>>. Non volevo proprio credere a questa bella notizia. Ricordo che ricoverato con me c'era un ragazzo che, iscritto al IV° anno di economia e commercio, non solo non ricordava gli esami che aveva fatto ma, tragicamente, non ricordava neppure di essere iscritto all'università. Ancora non so se quella memoria è tornata.

Mia moglie allora, presa dallo sconforto, andando a casa ha preso la mia tesi di specializzazione ed il giorno dopo me l'ha fatta vedere :<< Ecco vedi, la tua tesi... sei già specialista!>>.

A quella visione, guardandola, sfogliandola, mi sono apparsi come d'incanto tutti gli esami che avevo fatto, finalmente ricordavo tutta la fatica impiegata per farla!

La sera che era venuto a trovarmi il mio primario gli avevo narrato l'assurdo episodio, e lui, scherzando mi aveva chiesto :<< Ma si ricorda di fare l'ortopedico?>>.

Fortunatamente adesso ricordo tutto, solo un particolare penso che non tornerà mai alla mente: la dinamica del mio incidente.

Questo è un fatto positivo, non ricordandomi l'incidente non so neppure di aver sofferto, quello che però mi dispiace è che, in questo modo, non so spiegarmi il motivo per cui sono andato in coma. Mi son trovato con questo trauma, veramente, dalla sera alla mattina, e lo dicevo proprio all'inizio del racconto. Ancora oggi, ad un anno e mezzo di distanza dall'incidente, non so spiegarmi perchè sono andato in coma. Sono costretto ad accettare quello che mi viene riferito dagli altri. Una cosa assurda è che, per sapere come è avvenuto l'incidente, devo chiederlo agli altri... di solito uno che ha un incidente racconta la dinamica ai suoi interlocutori, nel mio caso sono proprio costretto a saperne qualcosa dalle altre persone. Per me l'incidente non è mai esistito, non l'ho vissuto!

Tornando alla prosecuzione dei fatti si deve sapere che ho passato tutta l'estate a ricopiare dei libri. Siccome il deficit della motilià oltre al cammino e alla parola aveva coinvolto anche la scrittura, per allenarmi ero costretto a scrivere il più possibile ed allora quale esercizio poteva essere migliore di ricopiare testi di ortopedia? Ricordo che quest'estate, al mare, mentre tutti erano in spiaggia ad abbronzarsi ed a nuotare nel mare io mi ero imposto di rimanere 2 - 3 ore al pomeriggio a fare questo stupido esercizio. Io laureato, specializzato, insegnante di ortopedia alla scuola di fisioterapia ero costretto a fare lo "stupido" esercizio di ricopiare libri. Assolutamente deprimente, se dovessimo pensare che da domani, per mesi, saremo costretti a ricopiare "male" dei libri penso che a chiunque verrebbe "l'esaurimento"... soprattutto se "laureato". Spesso sento dire a dei miei amici che nel loro lavoro sono sottostimati, sono adibiti a delle mansioni poco gratificanti, in realtà potrebbero fare molto di più se potessero farlo: cosa direbbero se all'improvviso, dall'oggi al domani, dovessero mettersi a ricopiare libri?

 Ancora oggi penso a come ho fatto, ripercorrendo con la memoria quella fase mi viene la depressione solo al pensarci. Altro fatto sconcertante è che i miglioramenti, come in tutto, sono impercettibili, sono lentissimi. Dopo tutta quella fatica, alla fine dell'estate, mi sembrava di aver recuperato pochissimo e male: assolutamente non mi piacevo. Siccome, nei miei confronti ripeto che sono un giudice inflessibile, dal momento che non mi piacevo avevo pensato di scrivere le cartelle con il computer. Ricordo che, visti gli scarsi risultati, quando sono tornato al lavoro avevo trovato un espediente per scrivere le "benedette" cartelle con il computer. Rimaneva però, sempre, il problema che, quando facevo l'ambulatorio, ero costretto a scrivere (ricette, certificati, relazioni cliniche...); non era possibile portarmi il computer in ambulatorio! Allora, con grande sforzo, mi sono impegnato a lungo e mi ha fatto piacere quando un paziente mi ha detto :<< Finalmente un medico che scrive bene! Finalmente, per la prima volta, riesco a capire cosa c'è scritto!>>. Da allora, superato l'esame, a parte questa storia, non scrivo più con il computer e, anche se ancora sono lento, ritengo che, in questo campo, non esistano più problemi.

Rimane sempre il mio problema cruciale, quello per cui mi sto impegnando a fondo e che, del resto, psicologicamente mi dà più problemi: quello della parola.

Anche se chi mi sente afferma che non nota alcun deficit... io non mi piaccio. Se c'era una cosa in cui andavo fiero era, veramente, come riuscivo a "parlare". La difficoltà maggiore è quella dell’articolazione delle parole, essendoci problemi nella fluidità del discorso. La cosa scocciante, tuttavia, è la mancanza d'intonazione, mi riesce impossibile modulare la voce. Ritenevo, forse a torto, di essere un professionista della voce. Se parlo lentamente non si nota alcun problema, ma parlando lentamente mi risulta impossibile modulare la voce. Questo problema chiaramente deriva dal fatto che ritenevo di essere molto bravo in questo campo. La mia presunta bravura, ai tempi dell'università, aveva fatto si che venissi assunto come speaker a Radio Verona, potendo sbizzarrirmi in molteplici programmi anche conversando con scioltezza per telefono con gli ascoltatori in diretta..

Ho sempre ascoltato radio e televisione molto criticamente, valutando se chi parlava aveva una buona dizione. Nel caso riscontrassi mancanza di professionalità o non mi piacesse la voce dello speaker, non esitavo a cambiare stazione dicendo :<< Mentecatti... non sanno parlare e vanno alla radio!>>.

Penso che, da questa breve esposizione, risulti comprensibile la mia angoscia.

Per allenarmi facevo esercizi con la logopedista e poi, alla fine del trattamento, due o tre ore al giorno le passavo leggendo libri ad alta voce.

La prova decisiva è arrivata quando avevo ripreso ad insegnare a scuola, reggere un discorso ad alta voce per ben due ore al giorno, come facevo precedentemente, non ci sarei proprio riuscito. L'impressione che ho io è quella di un soggetto che voglia gonfiare un materassino da spiaggia. Già a metà dell'opera mi accorgevo che ero stanchissimo, quando completavo il "gonfiaggio" ero proprio spompato. Lo stesso avviene per me a parlare in pubblico ad alta voce. A pensare di parlare per due ore era un'impresa epica, allora l'Innocenti, direttrice della scuola, mi ha concesso di fare meno ore e, soprattutto, di ridurre i tempi da due ore a un’ora.

Quando ho avuto la prima lezione ero veramente emozionato: sarei riuscito a farcela? Sarei riuscito a completarla? So, come in tutte queste circostanze, che ho chiuso gli occhi e mi son buttato. Per me era come ad andare ad un esame, un esame però con la vita. Per farmi coraggio pensavo a tutti gli esami che avevo fatto in fisiatria ed in ortopedia: mi ricordo tutta la paura ogni volta. Se avevo superato quello stress dicevo che sarei riuscito a superare ogni cosa. Solo che adesso dovevo farmi coraggio, era un esame con la vita. Ho deciso così che i soldi guadagnati, se avessi fatto le lezioni, li avrei devoluti in beneficenza.

Comunque, sebbene non mi fossi piaciuto per niente come modulazione, l'esame con il minimo dei voti era andato. Le lezioni successive, sebbene avessi riscontrato che potevo farcela, le ho fatte sempre col cuore in gola (spero che i ragazzi non l'abbiano notato). Le ho prese, giustamente, come rieducazione al linguaggio. Cosa c'era di meglio? Avevo un pubblico che poteva criticarmi e dirmi se caso mai facesse fatica a capirmi.

Spero, comunque, che abbiano imparato qualcosa non solo perchè son riuscito a farmi capire ma spero che i miei sforzi didattici abbiano dato un buon esito. Se così fosse sarei doppiamente contento perchè mi sarei fatto capire ed avrei insegnato qualche argomento.

L'ultima lezione non ce l'ho più fatta a celare la difficoltà a cui ero volontariamente sottoposto. Ho detto loro la grande fatica a cui mi ero subordinato  e li ho ringraziati perchè, involontariamente, hanno partecipato al mio recupero. Si può dire benissimo che hanno fatto il loro primo, spero di tanti, trattamenti di rieducazione.

Veniamo ora a parlare dell'ultimo avvenimento cruciale che veramente mi ha abbattuto e devo riconoscere che, sebbene fossi pienamente conscio del mio deficit in campo sportivo, mi risulterà molto difficile sciare di nuovo, meglio dire tentare di sciare di nuovo.

Recentemente ho fatto la classica settimana bianca, come, del resto, facevo ogni anno. Non nego che ero preoccupato, però ero terribilmente curioso di sapere come sarebbe andata.  Logicamente è andata male, ma deve essere scattato in me uno strano meccanismo: non riuscivo proprio a tollerare di sciare pianissimo ed a "spazza neve" obbrobrioso. Sono caduto abbastanza spesso ma il problema era rialzarmi: non ce la facevo, dovevano aiutarmi. Ogni volta che cadevo impiegavo circa 5 - 10 minuti per rimettermi gli sci.

Anche se non ho mai sciato bene, riuscivo a fare tutte le piste discretamente. Anche qui si è verificato il classico scadimento in campo sportivo: come mi riusciva difficile nuotare, mi riusciva difficilissimo tentare di sciare. Mentre per il nuoto, nonostante tutto, ero in grado di fare 20 vasche perchè lo facevo benissimo, sciare, cosa che non ho mai fatto bene, devo dire mi risulta impossibile.

Fortuna che i deficit si limitano al campo sportivo, si può vivere benissimo senza andare in piscina e senza andare a sciare! Magra consolazione... eppure, attualmente, posso farci pochissimo, forse potrei allenarmi di più, però, attualmente, l'orgoglio mi impedisce di perseguire questa strada.

Siccome, ora che ho ripreso a lavorare, ho pochissimo tempo, preferisco dedicarlo a cose che considero  più importanti come l'esercizio della modulazione della voce.

Purtroppo devo continuare ad esercitarmi e la cosa, come scocciatura, è paragonabile allo studio, pensavo di aver finito con le cose impegnative, invece mi  ritrovo di nuovo a combattere.

Probabilmente non riuscirò mai più a stare tranquillo.

Non devo più superare esami scolastici, molto peggio, devo superare l'esame con la vita!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

 

Questo lavoro l'ho scritto fondamentalmente per me, per liberarmi di "qualcosa" che tenevo dentro di me. Ora che stiamo arrivando alla conclusione posso confermare che ho fatto benissimo. Già mi sento decisamente meglio... dovevo farlo!

Altro motivo che mi ha spinto a ordinare e narrare tutte le mie idee è stato il fatto che, i miei molteplici amici e conoscenti continuavano a chiedermi incuriositi informazioni sulla mia vicenda. Abbiamo visto la molteplicità dei concetti, narrarli non era una cosa da poco. Ci voleva tempo e occorreva mettere ordine alla matassa ingarbugliata di idee. Non era assolutamente facile, ho provato, alle volte, a fare mente locale narrando quanto mi veniva in mente. Poi, a causa della complessità dei concetti, mi accorgevo che i miei interlocutori non mi capivano, tutt'al più fingevano di capirmi.

 Occorreva molto tempo (cosa che non ha mai nessuno) e occorreva che io preparassi preventivamente il materiale da esporre. Inoltre, se caso mai l'avessi fatto, potevo organizzarmi al massimo per due o tre persone... certamente non potevo raggiungere un gran numero di persone.

La mia, presunta, difficoltà a tenere discorsi a lungo ha contribuito, alla fine, a completare le cose. A parlare facevo molta fatica, sarei riuscito a fare un discorso al massimo di una ventina di minuti. Occorrerebbero molte ore e sarebbe sempre rimasta la perplessità di aver tralasciato qualche argomento importante.

Così, come ripetutamente mi suggerivano i terapisti che mi hanno trattato, ho preso la fatidica decisione: scrivo qualcosa su questa triste vicenda.

Vorrei concludere dicendo che, alla mia dimissione, sono andato all'università a sentire un americano, di cui non ricordo il nome, che per più di 10 anni ha studiato i comi.

La cosa che ha destato in me molto interesse è che i suoi pazienti narravano, nel periodo di coma, di aver visto delle cose bellissime. Dicevano che nel coma si stava molto meglio, anzi le cose bellissime che avevano vissuto facevano ritenere che quel periodo era decisamente molto meglio.

Altra cosa che ricordo è che mi avevano detto di un particolare episodio avvenuto in soggetti comatosi. Si narrava che questi soggetti vivevano in un mondo magnifico poi, ad un tratto, cadevano in un precipizio... alla fine del precipizio c'era la vita.

La vita perciò era la fine di tutto, quella cosa che invece, per gli esseri viventi, è la morte.

Io personalmente non ho vissuto questo mondo fantastico di cui tanto si narra. Però, posso dire che, a stare dall'altra parte si sta molto meglio. Capisco che un affermazione di questo tipo possa destare dei dubbi, delle perplessità. Ricordo che un ragazzo ricoverato con me diceva :<< Era meglio che morissi!>>. Gli rispondevo che era pazzo, avevamo avuto la fortuna di esistere ancora, qualcuno ci aveva salvati e dovevamo esserne riconoscenti. Questo mio pensiero è durato per circa una mese, poi costantemente mi dicevo :<< Vuoi vedere che Daniele aveva ragione?>>. Dall'altra parte si stava molto meglio: non esistevano problemi, non c'era la forsennata lotta a cui siamo sottoposti quotidianamente. Non bisogna studiare, non bisogna far carriera, non bisogna procurarsi il cibo.

Va bene che non esiste nulla, però non bisogna neanche dannarsi per procurarsi le cose di cui ho parlato.

Ricordo che, alle volte, quando facevo questi discorsi i miei interlocutori pensavano fossi pazzo, anzi che avevo preso una botta in testa! (infatti...)

Per questo motivo ho deciso di limitare le mie esposizioni, però in questo caso non ce l'ho fatta a trattenermi. E' veramente una bella occasione per scrivere quello che penso... non potevo lasciarmela sfuggire.

Forse, in futuro cambierò idea, però adesso a distanza di più d'un anno rimango convinto di quello che affermo.

Poi il fatto di pensare che tutti quelli che son stati d'altra parte stavano meglio avvalora la mia tesi. Io più realisticamente non ho visto cose bellissime, però posso garantire che stavo tranquillo, come non lo sono mai stato (ovvio ero in coma: più tranquillo di così...).

Altra riflessione che vorrei fare è questa: a me, come dicevo, è sempre sfuggito il tempo, avevo desiderio di fare più cose: purtroppo me ne riusciva un decimo, proprio perchè non mi bastava il tempo.          

Poi la vita, ad un certo punto ha deciso che mi fermassi: son rimasto ben un anno senza far nulla. Allora mi chiedo se valga la pena dannarsi tanto, forse è meglio stare più tranquilli: se l'avessi saputo! Purtroppo dice il proverbio "del senno di poi son piene le fosse".

Il bello è che non sappiamo mai cos'è giusto e cos'è sbagliato... o almeno pensiamo di saperlo!

In questa parte conclusiva, volevo narrare alcune impressioni mie e dei lettori sul lavoro in questione. Siccome, quando dovevo fare la correzione delle prime tre pagine, avevo poco tempo a disposizione a casa, ho pensato di portarle in ospedale, nei tempi morti ne avrei approfittato per andare avanti. Portando l'inizio del lavoro in ospedale ho, naturalmente, incontrato parecchi miei amici che mi hanno chiesto una fotocopia della parte iniziale. Pur essendo poche righe ho pensato che non c'era nulla di male a consegnare loro la bozza, quando il lavoro sarebbe stato completato avrei consegnato anche il resto. Il giorno dopo altre persone sono venute da me lamentandosi perchè le avevo trascurate non dando quella bozza. Insomma ho dovuto fare ben 35 fotocopie che sono state distribuite a gruppetti. Poi ogni gruppetto avrebbe provveduto a distribuire a chi lo desiderava quelle fatidiche tre pagine. Morale della favola ho saputo prima di finire il lavoro le impressioni dei lettori.

Che ci fosse un certo interesse già lo sapevo perchè avevo avuto ripetute richieste d'informazioni. Ma una massiccia richiesta come ho notato, proprio non me l'aspettavo. Ho saputo da alcuni miei amici che le fotocopie hanno fatto il giro di persone che neanche conosco, mi dicevano che, chiaramente, non avrebbero svelato il nome dell'autore. Ebbene dirò che non ci sono assolutamente problemi, il fatto che abbia scritto significa che tutti, se vogliono, se sono interessati, possono attingere notizie da questa storia e ritengo che non ci sia alcun ostacolo a far sapere il mio nome.

Inoltre ho notato che c'è una grande attesa per il seguito e, naturalmente, come è possibile vedere è già pronta anche la parte finale. Mi ci son voluti tutti gli attimi di tempo libero, dirò che sabato ho lavorato per ben 13 ore! Dalle 6:30 a mezzo giorno e dalle 14:00 alle 22:30! Ma, naturalmente, non mi è costato nulla. Ribadisco che da molto tempo avevo pronti i concetti da esprimere, è stata così una bella occasione per liberarmene ed informare chi l'avesse desiderato.

Voglio concludere facendo la considerazione che ripetutamente mi perseguita da un anno: questo incidente mi è capitato nei giorni in cui concludevo la realizzazione di proprio tutti i desideri della mia vita. Mi sono laureato, specializzato, insegno alla scuola di fisioterapia, mi sono sposato, ho avuto un bellissimo bambino, ho avuto il posto di ruolo come ortopedico in ospedale, sono riuscito, dopo molti stenti, a farmi una casa più grande di come la desideravo, ho tre impianti stereofonici megagalattici [infatti i miei amici mi chiedono ripetutamente cosa me ne faccio di ben tre impianti di quel livello (deviazione!)], possiedo un grosso computer e lo so usare, possedevo un'automobile veloce (responsabile della catastrofe): non desideravo proprio più nulla.

Eppure il destino ha voluto che, esattamente, nei giorni in cui concludevo tutti i miei desideri, mi capitasse addosso questa catastrofe.

E' il caso di dire che gli opposti coincidono, nel momento stesso in cui pensavo di aver finito mi son ritrovato a ricominciare.

Concludo definitivamente chiedendovi:

questa è realtà... oppure tutto quello che ho scritto non esiste, fa parte di un sogno?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

P.S.

Il fatto che centinaia di persone abbiano  già letto la prima parte quando ancora era in fase di correzione mi induce a fare quest'aggiunta.

Infatti molti miei cari amici e colleghi di lavoro erano, a torto, rammaricati del fatto di aver letto di non essere  mai stati menzionati, almeno nella prima parte.

Allora per chiarire una buona volta questo fatto che, ho notato, risulta importante per le persone, ho deciso di dare delle spiegazioni scritte...per tutti.

Ragazzi, seppur mi siete stati molto vicini, come familiari e parenti, non vi ho menzionati perchè non avete suscitato in me alcuna meraviglia.

Essendo amici mi aspettavo che vi comportaste così, mi dicevo che certamente potevo avervi inventati, vi conoscevo benissimo, vedendovi quotidianamente non doveva essere difficile la vostra "creazione mentale": praticamente non mi avete stupito, quello che mi ha sbalordito era ciò che non mi aspettavo.

 

2/1994


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